Ennesimo rinvio questa settimana, il terzo per l'esattezza, sul disegno di legge che punta a regolamentare la procedura per il sequestro dello smartphone o del Pc, ora all'esame della commissione Giustizia del Senato.

Martedì mattina, dopo qualche minuto che era iniziato l'ufficio di presidenza dell'organismo parlamentare presieduto dalla leghista Giulia Bongiorno e che avrebbe dovuto decidere sulla calendarizzazione del provvedimento a sua firma e di Pierantonio Zanettin (FI), è arrivato il viceministro Francesco Paolo Sisto, accompagnato dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, mostrando una lettera firmata dal guardasigilli Carlo Nordio in cui si richiedeva altro tempo per fare ulteriori approfondimenti. «Il problema - ha spiegato Sisto - è che si sta studiando un modo di procedere anche per quanto riguarda il cloud visto che la memoria dei dispositivi elettronici è quasi sempre custodita anche su questo tipo di piattaforma».

Immediata è stata la reazione, particolarmente infastidita, dei commissari dell'opposizione. «È da ottobre che il ministero continua a rinviare. Siamo già alla terza richiesta di far slittare l'esame di questo testo», hanno sottolineato i senatori del Pd, ricordando che «l'ultima volta la motivazione era per il “sovraccarico di lavoro” negli uffici di via Arenula».

«È essenziale, invece - ha osservato Bongiorno, che è anche responsabile giustizia della Lega - che la Commissione abbia tempi di lavoro certi. Meglio un rinvio lungo che chiedere piccoli rinvii di 10 giorni in 10 giorni». Il sequestro del telefonino, in considerazione dei dati altamente sensibili contenuti, necessita, è stato evidenziato, di garanzie al pari delle intercettazioni e la selezione dei contenuti dovrebbe essere assistita da un contraddittorio tra le parti per decidere cosa sia rilevante a fini processuali, anche in relazione alla conservazione dei dati nell'archivio digitale delle intercettazioni. All'interno dello smartphone, infatti, sono normalmente contenute le chat attraverso i vari social che consentono di ricostruire, anche a distanza di tempo, le conversazioni intercorse fra il possessore dell’apparato e altri soggetti.

La lacuna verrebbe dunque colmata con il nuovo articolo 254 ter del codice di procedura penale: «Sequestro di dispositivi e sistemi informatici, smartphone e memorie digitali». A dare manforte all’iniziativa parlamentare, la Cassazione che ha più stabilito riguardo al sequestro di tali dispositivi la illegittimità, per violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza, in caso di mancata indicazione «di specifiche ragioni a un’indiscriminata apprensione di tutte le informazioni ivi contenute».

Sul punto la scorsa settimana è stata depositata a piazza Cavour la sentenza numero 50009 che ha respinto il sequestro “a strascico” di tutti i file contenuti sullo smartphone di un indagato. Per Piazza Cavour il pm deve procedere all'immediata restituzione dopo aver proceduto alla ricerca di quanto d'interesse.

L'autorità giudiziaria, con la nuova disposizione, dovrebbe indicare le ragioni che rendono necessario il sequestro «in relazione al nesso di pertinenza fra il bene appreso e l’oggetto delle indagini», specificando le operazioni tecniche da svolgere sullo smartphone e i criteri che verranno utilizzati per selezionare, nel rispetto del principio di proporzione, i soli dati effettivamente necessari per il prosieguo delle indagini.

La riforma Bongiorno- Zanettin dispone che se vi sia il sospetto che il contenuto dei dispositivi possa essere cancellato, alterato o modificato, l’autorità giudiziaria debba impartire le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e a impedirne a chiunque l’analisi e l’esame sino all’espletamento, in contraddittorio con gli interessati, delle operazioni di selezione dei dati.

Entro cinque giorni dal sequestro, il pm deve poi avvisare la persona sottoposta alle indagini, la persona alla quale il telefonino è stato sequestrato, la persona alla quale dovrebbe essere restituita e la persona offesa dal reato e i relativi difensori del giorno, dell’ora e del luogo fissato per l’affidamento dell’incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici.

Sulle eventuali questioni concernenti il rispetto dei principi di necessità e di proporzione nella selezione dei dati, il pm decide entro 48 ore con decreto motivato. Ed entro le 48 ore successive, il giudice per le indagini preliminari, con decreto motivato, convalida in tutto o in parte il provvedimento del pm, eventualmente limitandone gli effetti solo ad alcuni dei dati selezionati, ovvero dispone la restituzione del dispositivo e della eventuale copia informatica nel frattempo realizzata.