«Quando si discute della separazione delle carriere, la litania che si sente da parte dei magistrati, e parlo da magistrato, è quella che la separazione vulnererebbe la cultura della giurisdizione, che è una espressione astratta, metafisica, un’astrazione speculativa ma se proprio vogliamo dargli un significato, allora dobbiamo distinguere. O la giurisdizione è prerogativa del giudice soltanto o è il risultato della dialettica processuale e allora è un tavolo a tre gambe: giudice, difensore e accusatore». Così il ministro della Giustizia Carlo Nordio, intervenuto questa mattina alla prima giornata della sessione ulteriore del congresso nazionale forense a Roma. 

«Questo ci porta a concludere – ha aggiunto – almeno nella mia visione, che se proprio si deve parlare di cultura della giurisdizione siamo davanti a una triade in cui tutti gli elementi sono fondamentali, tutti hanno pari dignità: avvocati, pubblici ministeri e giudici. Questa dignità non è solo una qualifica etica o professionale, è una dignità operativa nel senso che gli strumenti di cui dispongono queste parti devono essere definiti dalla legge in modo tassativo ma devono anche rispecchiare il ruolo paritario delle tre parti del processo». «Ciò ci porta a una conclusione che secondo me va al di là della separazione delle carriere – ha proseguito Nordio – la vera cultura della giurisdizione dovrebbe permettere l’interscambio tra i vari ruoli. Nelle democrazie avanzate non si parla più di separazione delle carriere perché il giudice può tornate a fare l’avvocato, l’avvocato va a fare il giudice, il pubblico ministero torna a fare l’avvocato. E quando sento che questa separazione porterebbe il pubblico ministero sotto l’autorità del potere esecutivo, o addirittura sarebbe un vulnus alla democrazia, mi viene da sorridere pensando che questa interscambiabilità esiste proprio nei paesi dove la democrazia è nata. Questa interscambiabilità rende inoltre più professionale la figura di ciascuno degli interpreti, dei protagonisti del processo. La capacità di comprendere le problematiche altrui, non solo quelle psicologiche, rende la Giustizia più efficiente, rapida, certa».

«Per quanto riguarda poi gli aspetti più operativi – conclude il guardasigilli – ci rendiamo conto che esiste il problema che nello stesso Ministero della Giustizia la presenza degli avvocati è ridotta, ma questo dipende da una serie di situazioni sedimentatesi da tempo, anche di natura retributiva. Stiamo colloquiando con voi per risolvere questo problema perché sappiamo che la presenza dell’Avvocatura nella elaborazione del sistema legislativo è indispensabile. Abbiamo organizzato una serie di tavoli tecnici e commissioni con un’ampia presenza dell’Avvocatura, ma ci sono problemi pratici che cercheremo di risolvere. Un’ulteriore considerazione, quella del dialogo. Il Ministero dialoga con tutti, principalmente con CSM, ANM, CNF e Camere Penali e Camere Civili. Nessuna corsia preferenziale, nessun pregiudizio negli incontri con gli uni e gli altri, dobbiamo e vogliamo ascoltare tutti ma le conclusioni le assume la politica che risponde solo ai cittadini. Allo stesso tempo chiediamo suggerimenti pratici per risolvere le criticità della giustizia. La gran parte dell’attività del nostro Ministero è stata quella per rendere la Giustizia più efficiente, abbiamo raggiunto i risultati del PNRR. Questa è la fine dell’inizio ma vorrei che fosse l’inizio della fine della criticità della nostra Giustizia che è ancora lenta, elefantiaca, bizantina. Per fare questo occorre avere fantasia, coraggio, collaborazione. Quella con voi proseguirà e vi assicuro che sarà presa nella massima attenzione. La situazione finanziaria è quella che è ma non sarà eterna, e possiamo star certi che con i miglioramenti delle nostre finanze, una parte sarà certamente dedicata alla giustizia».

Insieme al ministro, sul palco del congresso, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri in rappresentanza del Governo Alfredo Mantovano e il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto.

«Voglio partire dai fondamentali di chi esercita il diritto costituzionalmente garantito alla difesa in giudizio – ha esordito Mantovano – l’avvocato che svolge bene la sua funzione non fa mai perdere tempo al giudice. L’esercizio del diritto alla difesa è strettamente correlato al possesso, prima ancora che della competenza, delle virtù umane: la ricerca della giustizia. In modo diverso rispetto al ruolo che svolge il giudice, il cui compito, tra i più difficili per gli esseri umani, è decidere. Se questo fa il giudice, l’avvocato cerca la giustizia attraverso il confronto con lo strumento del contradditorio. Il richiamo ai fondamentali è decisivo per affrontare le sfide del presente. Penso all’Intelligenza Artificiale e al disorientamento di fronte alla prospettiva della sostituzione dell’uomo. Ma molte professioni, come quella degli avvocati, non tollerano sostituzioni macchina-uomo. Quindi bisogna procedere da un lato evitando la demonizzazione, non ostacolando cioè tutto ciò che di positivo arriva dalla tecnologia, ma la non demonizzazione deve essere accompagnata da una ragionevole regolamentazione. Appena il regolamento su cui sta lavorando l’Unione europea sarà dettagliato, il Governo promuoverà e rappresenterà in Parlamento un disegno di legge che affronti le sfide cyber e dell’IA muovendosi nel quadro di regolamentazione europea». «Parallelamente, lo sforzo già in atto è coordinare il lavoro di tutte le articolazioni, istituzionali e non, che si stanno interessando all’argomento superando la logica dell’ognuno va per conto suo, perché la questione è troppa complessa – ha proseguito il sottosegretario – la presidenza ha già avviato questo lavoro di coordinamento, lo rappresenterà al Parlamento e lo condividerà col mondo delle professioni. Anzi, lo pone come base ai lavori del G7 sotto la presidenza italiana che si apriranno il primo gennaio. Il no alla demonizzazione ha una sua declinazione anche nel mondo della Giustizia, perché ci sono procedure standard per le quali non è scandaloso, anzi già avviene, l’uso degli automatismi. Ma nessun algoritmo può sostituire una sentenza degna di questo nome e chi ha in mente una deriva del genere non ha la minima idea di cosa siano la giustizia, la difesa, la tutela dei diritti».

«Credo che una riflessione di questo tipo debba andare in parallelo con quella sull’attrattività della professione forense, in declino e che sconta decenni di errori già dalle scuole secondarie superiori e poi nell’offerta formativa universitaria – ha infine sottolineato Mantovano – sottolineo, non in contrapposizione ma come modalità di declinazione della sfida dell’IA, l’assoluta necessità della valorizzazione di quel sistema di relazione rispetto al quale la professione forense ha un ruolo decisivo. Gli avvocati sono tra le categorie più minacciate e perseguitate nei sistemi in cui il modello di ‘giustizia’ delle relazioni sociali viene imposto dall’alto, ma non meraviglia che non pochi avvocati siano stati chiamati al sacrificio persino in un sistema democratico come il nostro, penso alle straordinarie figure di Fulvio Croce e Giorgio Ambrosoli. Nello sforzo di riumanizzazione credo che ci sia da rimettere a posto le categorie di desiderio e diritto, che non sono la stessa cosa. Il patrocinio legale non richiede di assecondare ogni desiderio ma di accompagnare la persona nella ricerca del conseguimento della difesa del proprio diritto. Proprio perché non ogni desiderio della persona è da considerare diritto, è importante il tema dell’assise: l’Avvocatura sarà tanto più protagonista positiva della tutela dei diritti nell’epoca dei cambiamenti globali quanto più sarà in grado di accompagnare la persona nella ricerca del bene autentico, quello che fonda i diritti. La sovrapposizione delle due categorie corre il rischio di fomentare quella giurisprudenza creativa che è fonte di disorientamento e incertezza nell’applicazione del diritto. Nessun risultato positivo è raggiungibile senza un ancoraggio deontologico solido e maturo e il Governo dà la piena disponibilità nell’affiancare l’avvocatura nel restyling del procedimento disciplinare nel rispetto del lavoro del Parlamento, nel rivedere meglio le regole dell’approccio sovranazionale alla professione, nel non considerare questa professione alla stregua di una attività imprenditoriale. Quindi diamoci una mano affinché l’Avvocatura sia protagonista positiva della tutela dei diritti nel tempo dei cambiamenti globali».

Dopo l’intervento del guardasigilli si è tenuta la tavola rotonda moderata dalla giornalista del TG2 Manuela Moreno a cui hanno partecipato parlamentari e rappresentati dei partiti di maggioranza e opposizione: Enrico Costa (Azione), Valentina D’Orso (5 Stelle), Pino Bicchielli (Noi Moderati), Debora Serracchiani (Partito Democratico), Francesco Urraro (Lega), Carolina Maria Varchi (Fratelli d’Italia), Catello Vitiello (Italia Viva), Pierantonio Zanettin (Forza Italia). Quindi è salito sul palco il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto: «L’Art. 24 della Costituzione ci dice che tutti hanno il diritto a difendersi e gli avvocati garantiscono il cittadino. Un compito necessario che ci rende fondamentali costituzionalmente ma anche nel baricentro della Giustizia – ha detto Sisto – quindi ringrazio l’Avvocatura perché consente nella politica di tenere alta la rotta del pragmatismo, della concretezza, della sinergia. Il nuovo corso che abbiamo scritto è quello di avere un rapporto diretto che consente all’Avvocatura e alla politica di essere un tutt’uno. Noi ci occupiamo dei problemi dell’Avvocatura quotidianamente e cito subito il grande risultato, raggiunto assieme con un tavolo tecnico, di ritardare l’ingresso del processo penale telematico al 30 dicembre 2024. Le tecnologie non possono essere prevalenti rispetto ai diritti ma accompagnarli. Correvamo il serio rischio di dover usare un portale che ha problemi ma soprattutto stiamo facendo la scelta di modificare il rapporto tra l’Avvocatura, la difesa e il processo non con un’imposizione dall’alto ma partendo dalla consapevolezza dal basso».

«Faremo corsi di formazione per dare a tutti gli avvocati la possibilità di attingere a percorsi che li mettano nella condizione di poter usare il portale correttamente, perché è vero che tutto dovrà essere telematico – ha annunciato il Viceministro – tutto tranne una cosa: la necessità che il processo mantenga l’oralità. Nessuno ci tolga di essere avvocati e soprattutto di esserlo nei processi con la nostra capacità critica. Una coscienza critica che nella rigidità delle norme possa essere creativa. Occhio quindi all’insidia dell’IA, al tentativo di sostituire il diritto di difesa con un indifeso diritto di presunto automatismo». Infine il tema della fuga dalla professione: «Corriamo il rischio di dover ragionare di diritti e non avere chi può esercitarli questi diritti. Un warning molto delicato su cui non possiamo rimanere inerti ma assumere iniziative. Siamo davvero sensibili alle nuove frontiere della professione? Mi sto battendo con la ministra Bernini per usare forme di master endouniversitari che possano già educare alla professione nelle Università in modo da abbattere i tempi del praticantato e fare in modo che si possano raggiungere i livelli della professione più velocemente».

«Ma il Ministero si occupa anche di altro: non è inutile pensare che il regime forfettario possa essere mantenuto anche in ipotesi di associazione per incentivare coloro che hanno un reddito inferiore alla media a mettersi assieme; difendere l’equo compenso, una conquista importante da tenere saldamente nelle nostre mani – ha aggiunto Sisto – infine le riforme. Qualcuno sostiene che il garantismo di questo Governo si è spento. Vi assicuro che non solo non si è spento, ma è fortemente vivo e alla ricerca costante del miglioramento del rapporto tra processo e cittadino. Dobbiamo credere un po’ di più negli ADR che cominciano ad avere qualche effetto. Abbiamo avuto importanti risultati sull’efficienza: meno 19 per cento circa del disposition time per il civile, meno 29 per cento per il penale. Numeri che danno la certezza che le riforme iniziano a funzionare. Ma la riforma delle riforme è la separazione delle carriere che significherà per questo Stato il raggiungimento di un obiettivo, un triangolo isoscele con un giudice in cima e alla stessa distanza pubblico ministero e avvocato. Il cittadino deve sapere, quando entra in un’aula, che ha un giudice terzo e imparziale. La riforma della separazione restituisce al cittadino la fiducia nella giustizia, quello a cui noi dobbiamo tendere assiema alle riforme ordinarie, di accompagnamento: la cancellazione dell’abuso, la semplificazione, la certificazione dal punto di vista della tipicità del traffico di influenza, le intercettazioni. Vogliamo riscrivere i rapporti tra indagato e difensore: le comunicazioni tra indagato e difensore non devono essere trascritte. Siamo di fronte a un diritto di difesa molte volte vituperato da questo eccesso di zelo. Se c’è un art. 24 va rispettato soprattutto nelle garanzie processuali. Stiamo intervenendo anche sui criteri di sequestro degli smartphone, che considero un luogo di riservatezze, come ha detto la Corte Costituzionale non sono documenti ma comunicazioni».

«La politica è risultati – ha concluso il Viceministro – il primo step della riforma Nordio è già pronto per andare in aula, e abbiamo altre proposte: rafforzamento dell’obbligo nella proroga delle intercettazioni, il tema della pubblicabilità delle intercettazioni solo se il giudice le ha incluse nel suo provvedimento, tutti provvedimenti che tendono a rafforzare il diritto di difesa in modo costituzionalmente orientato. Non cado nel tranello di chi vuole riattizzare il fuoco dei conflitti tra Avvocatura, magistratura, politica, accademia. Dobbiamo puntare alla riappacificazione ai sensi del 101 che dice che i magistrati sono soggetti solo alle leggi. Bene, il dibattito sia aperto il più possibile, ma quando la legge arriva in Parlamento è solo il Parlamento sovrano che deve decidere. Con questa certezza credo che il Ministero della Giustizia stia cercando in questa legislatura finalmente spazi, certezze, metodi mai prima praticati e i colloqui e il dialogo con l’Avvocatura non sono una concessine ma doverosi riconoscimenti: non c’è giustizia senza avvocati, non c’è giustizia senza cittadini, non c’è giustizia che non debba necessariamente fare i conti non con voi ma con noi».