LA LEADER DI FRATELLI D’ITALIA HA VOLUTO IN LISTA CANDIDATI DI “ALTO LIGNAGGIO” CAPACI DI FARE USCIRE DALL’ANGOLO IL PARTITO: PERA, TREMONTI, NORDIO, FITTO E GALAN

Per i partiti la compilazione delle liste elettorali è anche un modo per rifarsi il trucco. Alcune candidature, a prescindere dal loro spesso effettivo valore, sono in effetti la confezione seducente nella quale impacchettare l'offerta. Ci sono scelte incarnano un brand, “i giovani” promossi capilista in virtù dell'anagrafe, per esempio. Altre candidature, però, veicolano un messaggio più sostanziale. Non si limitano al make up ma indicano la volontà di intervenire sul dna.

Da questo punto di vista il caso più interessante è certamente quello di FdI, che marcia su binari paralleli e all'apparenza opposti. La razzia di grossi nomi provenienti da Fi, e a volte dall'antico Gotha azzurro, ha un significato inequivocabile. Il partito di Giorgia Meloni si è gonfiato a dismisura quanto a consensi, passando, secondo i sondaggi, dal 4 al 24 per cento e non è escluso che vada anche oltre. Il personale politico, l'immagine, è rimasta però quella di un partito nato quasi come una sorta di “Rifondazione missina”, dunque inadeguato al ruolo di partito conservatore certo radicale ma anche affidabile per l'azienda e per le decisive realtà sovranazionali: Ue e Nato. Già da prima delle elezioni Giorgia ha guardato soprattutto al vecchio bacino ora in libertà di Fi: un signore delle tessere e dei voti, come il pugliese Raffaele Fitto, un parlamentare non scalfito da ombre estremiste e universalmente stimato come Lucio Malan e ora, colpo grosso, l'ex presidente del Senato Marcello Pera e l'ex dominus dell'economia Giulio Tremonti. Si tratta, e certo non a caso, di candidature d'alto lignaggio che rinviano immediatamente ai due fronti nevralgici più delicati con i quali un probabile futuro governo Meloni dovrà confrontarsi: gli assetti istituzionali e la politica economica.

Carlo Nordio, che completa il tris d'assi, non ha un passato forzista ma sigla anche lui la continuità con un berlusconismo del quale la rampante leader romana si candida a ereditare i fasti. Il segnale dichiara a una parte ancora sostanziale del bacino elettorale della destra che, nonostante l'egemonia delle politiche securitarie e repressive che FdI promette, la battaglia “garantista” contro la magistratura proseguirà.

Sin qui nulla di originale. Che un partito piccolo e radicale voglia ricostruire la propria immagine per renderla più rassicurante agli occhi dei poteri extrapolitici e dell'elettorato più moderato è fisiologico. Ma di solito ciò implica una presa di distanza più o meno drastica ma netta dal passato. Così è stato, tanto per fare i due esempi più vistosi, nella trasformazione del Pci prima in Pds e poi nei Ds ma la stessa cosa è vera anche l'Alleanza nazionale di Fini, criticato dalla propria base proprio per aver portato la presa di distanza troppo in là. Giorgia Meloni ha scelto la strada opposta. Nel dilemma tra conservare, difendendo la propria base storica, e innovare, per allargare quella base o in questo caso per adeguarsi a un ampliamento del consenso dovuto in larga misura agli errori degli altri, ha scelto di imboccare entrambe le strade negandone l'incompatibilità.

La scelta di conservare la Fiamma missina nel simbolo va oltre il calcolo in base al quale eliminarla sarebbe costato più di quanto non avrebbe fatto guadagnare. La leader non si è limitata a respingere al mittente gli inviti a spegnere quella Fiamma. La ha rivendicata con conclamato orgoglio. Al momento di stilare le liste, aiutata dall'ampia disponibilità di posti a disposizione, ha dato la priorità alla conferma di tutta la squadra uscente, quella eletta quando FdI era un piccolo partito ostentatamente radicale. La scommessa di Giorgia è semplice anche se mai davvero tentata in questi decenni di convulse e spesso sgangherate trasfor-mazioni dei partiti: innovare senza non solo rinnegare ma neppure criticare le radici. La sorella d'Italia può scostarsi apertamente dal fascismo e dall'ombra di Benito Mussolini, non ha alcuna intenzione di farlo con il Msi e con l'eredità di Giorgio Almirante. Quanto un Msi del terzo millennio, diverso e uguale, orgogliosamente di estrema destra ma in grado di calamitare aree ed esponenti di tutt'altra estrazione lo scopriremo probabilmente tutti molto presto.