«II venir meno della possibilità di sanzionare condotte abusive rappresenterebbe un vulnus agli obblighi internazionali sottoscritti dall' Italia in tema di corruzione con la convenzione di Strasburgo». A lanciare l’allarme, in Commissione Giustizia alla Camera, è il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, audito nell’ambito dell’esame dei disegni di legge sull’abuso d’ufficio. Melillo ha sottolineato il pericolo di infiltrazioni mafiose, dal momento che i clan tendono a entrare sempre più in contatto con la Pa, ed eventuali modifiche o peggio la cancellazione del reato esporrebbe così il nostro Paese «al rischio di apparire fonte di indebolimento del sistema di incriminazione», proprio mentre sono in arrivo le risorse del Pnrr.

«Da procuratore nazionale antimafia - ha sottolineato Melillo - credo sia doveroso richiamare l’attenzione del dibattito pubblico sullo stato di profondo diffuso condizionamento criminale dei comportamenti della pubblica amministrazione. Basterebbe guardare allo stato delle amministrazioni sciolte in 30 anni per accertati condizionamenti della criminalità mafiosa per toccare la concretezza dei problemi dell’assenza di ogni filtro, controllo, prevenzione», ha spiegato. Se è giusto lavorare per ridimensionare la paura della firma, il discorso «non può esaurirsi nell’aggravare la frammentazione e l’incoerenza del sistema dell’incriminazione», ha osservato il procuratore.

«I timori di invasione indebita della sfera di discrezionalità che deve essere riservata all’autorità amministrativa è un tema che avrebbe più credibilità se fosse accompagnato dalla rivendicazione dell’introduzione nel sistema di controlli interni alla pubblica amministrazione, in grado di tenere lontano il rischio dell’intervento giudiziario. È invece questo uno dei temi che resta fuori dal dibattito politico - ha evidenziato - . Occorre riconoscere che i controlli nella pubblica amministrazione non esistono e quelli previsti dalla legge sono ridotti a mera cosmesi». Ma non solo: il rischio è quello di una espansione «al ricorso alla leva incriminatoria del concorso in associazione mafiosa o concorso esterno». E questo riguarda «non solo l’abuso di ufficio ma anche il traffico di influenze, i cui termini sono stati ricondotti nelle salde mani dei principi costituzionali di tassatività delle previsioni».

Dopo la riforma del governo Conte, le pronunce della Cassazione hanno «fugato ogni rischio di applicazioni incaute» delle norme che puniscono questi reati. «L’ 85% delle denunce viene archiviato» dai pm . E anche le condanne sono poche: nel 2021 sono state solo 18, mentre sono diminuite significativamente le denunce. Gli amministratori che lamentano «la paura della firma» sono quelli che governano, «quelli che invece passano all’opposizione sono spesso i promotori delle denunce che sollecitano l’intervento del giudice».