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Carlo Nordio, ministro della Giustizia
Quando si presenta nell’aula del Senato, di primo pomeriggio, Carlo Nordio esibisce il proprio consueto e ineguagliabile aplomb: l’Europa, dice, «non ci chiede di reintrodurre il reato di abuso d’ufficio: ci chiede di combattere la corruzione. E noi, contro la corruzione, abbiamo un arsenale normativo». Segno che l e obiezioni avanzate poco prima da Christian Wigand, portavoce Giustizia della Commissione Ue, non hanno provocato traumi al guardasigilli italiano.
Tanto che, di fronte alle opposizioni gongolanti per la coincidenza insperata fra il question time di Palazzo Madama e le critiche di Bruxelles, Nordio chiude la faccenda con tono liquidatorio: «È irrituale e improprio il riferimento che si fa alla volontà dell’Europa». Ciò detto, è inevitabile che il ministro della Giustizia sia un po’ infastidito dall’idea di dover riprendere il discorso con Didier Reynders, il commissario Ue al quale il portavoce Wigand fa riferimento. Nordio aveva rassicurato già l’estate scorsa il titolare europeo della Giustizia sul fatto che abolire l’abuso d’ufficio non avrebbe indebolito la lotta al malaffare.
Fatto sta che ora il guardasigilli ha un intralcio più ingombrante, sulla strada che dovrebbe condurlo alla prima vera vittoria del suo mandato, cioè il definitivo via libera al suo “pacchetto” di norme. Una mini riforma penale di cui l’addio al reato che paralizza i sindaci è il contenuto centrale, suggellato tre giorni fa dal sì della commissione Giustizia di Palazzo Madama.
L’intralcio ha dunque le fattezze del portavoce europeo Wigand, che ieri ha rilanciato critiche analoghe a quelle dell’opposizione e dalla magistratura italiane. Ha prima chiarito che «la lotta alla corruzione è una priorità assoluta» per la Commissione Ue. Ha poi ricordato come Bruxelles abbia «adottato un pacchetto di misure anticorruzione a maggio per rafforzare la prevenzione e la lotta alla corruzione» – e già qui il verbo “to adopt” sconta un difetto di chiarezza, nella traduzione italiana, perché si riferisce alla “proposta di direttiva” elaborata da Europarlamento e Consiglio Ue ma non ancora effettivamente varata. Su quella bozza, peraltro, lo scorso 26 luglio il Parlamento italiano ha espresso un parere critico, proprio per la pretesa di “imporre” agli Stati membrI il reato di abuso d’ufficio.
Ma concluse le premesse, il portavoce Giustizia dell’Ue è venuto al dunque: «Siamo a conoscenza del disegno di legge italiano che propone alcuni emendamenti alle disposizioni sui reati contro la pubblica amministrazione: come spiegato nel nostro rapporto sullo Stato di diritto a luglio 2023, queste modifiche depenalizzerebbero importanti forme di corruzione e potrebbero avere un impatto sull’effettiva individuazione e sul contrasto della corruzione. L’iter legislativo è in corso e continueremo naturalmente a seguirne gli sviluppi».
Se non è una severa bocciatura del ddl Nordio, ci va abbastanza vicino. Una sorpresa, considerata la fitta e fin qui positiva interlocuzione tra Nordio e Reynders. L’inattesa bacchettata di Bruxelles ravviva la strategia delle opposizioni: del Movimento 5 Stelle ma soprattutto del Pd, imbarazzato, sull’abuso d’ufficio, dall’entusiasmo che i propri sindaci manifestano per l’abolizione appena votata in Senato. Certo è difficile ipotizzare un ripensamento dell’Esecutivo.
La soppressione del 323 è una scelta concepita in funzione del Pnrr. Utile cioè a tranquillizzare i sindaci che, da qui al 2026, dovranno firmare i bandi di gara per attuare quel piano. Di fatto, Giorgia Meloni è nella posizione di poter replicare a Bruxelles che le stringenti richieste sull’attuazione del Recovery mal si conciliano con l’atteggiamento occhiuto sull’abuso d’ufficio, strettamente correlato al primo tema.
Nordio è tranquillo proprio perché può contare sulla tenuta di questa maginot. A rassicurarlo ieri è stata innanzitutto la Lega, con una breve nota che rispolvera anche l’antico spirito eurocritico: secondo il Carroccio, l’intervento di Bruxelles rappresenta «l’ennesima intromissione in vicende che riguardano solo l’Italia e gli italiani: il governo», assicura il partito di Matteo Salvini, «è determinato a far lavorare sindaci e imprenditori». E poi, «per il ministero della Giustizia, dal 2019 al 2022 ci sono stati in totale 21.278 procedimenti con appena 202 condanne» che equivalgono allo «0,95 per cento». Dall’altro fronte si registra una non banale nota della responsabile dem per la Giustizia Debora Serracchiani e del capogruppo in commissione alla Camera Federico Gianassi, che oltre a controrilanciare sulla modifica del 323 aprono al superamento della legge Severino. Assai meno dialettica è la posizione di Alleanza Verdi-sinistra: per il deputato e coportavoce Angelo Bonelli «è grave» che, con la stilettata europea, «si prospetti l’ennesima procedura di infrazione».
A tenere il punto è invece quell’Enrico Costa, responsabile Giustizia di Azione, diventato tra i più convinti alleati del garantismo di Nordio: «Non so quale testo abbiano sottoposto al portavoce Ue: si tratta certamente di un equivoco, visto che nessunissima norma sulla corruzione è depenalizzata». Ma per il resto dell’opposizione, le obiezioni europee sono il più insperato degli assist.