L’ANNO CHE VERRÀ

SAGGISTA, SCRITTORE

Le previsioni 2021 si possono fare a cerchi concentrici. Per il più largo, che riguarda il mondo, sono facili; per il più piccolo ( l’Italia) diventano, almeno sul piano politico, difficilissime.

L’OCCIDENTE CONTINUERÀ A PERDERE TERRENO

La globalizzazione ha promosso uno sviluppo mai visto, che ha sottratto alla povertà oltre un miliardo di persone. Da Shangai a New Dehli, da Hanoi a Kuala Lampur, l’Asia ( e non solo) ha messo il turbo. Mentre l’Occidente ha perso terreno. Alcuni ( ad esempio la Germania e soprattutto gli Stati Uniti) lo hanno perso in modo relativo, perché semplicemente hanno progredito meno degli altri. L’Italia non ha progredito affatto, perché è l’unico Paese al mondo che, prima della pandemia, ancora non aveva recuperato i livelli precedenti la crisi finanziaria del 2008. La globalizzazione ha ridotto le disuguaglianze a livello mondiale, dunque. Ma, al contrario, le ha acuite nei singoli Paesi occidentali, dove i ricchi sono sempre più ricchi e le classi medie sono schiacciate verso il basso. Non da oggi. Perché già nel 2000, ad esempio, il vice governatore della Banca Federale americana Alan Blinder scriveva. “Quando gli storici guarderanno indietro all’ultimo quarto del ventesimo secolo, diranno che la caratteristica principale è stata lo spostamento senza precedenti di denaro e di potere dal lavoro verso il capitale, dal basso verso l’alto della piramide sociale”. Proprio questa situazione, insieme alla perdita di status rispetto ai popoli dei Paesi emergenti, ha provocato l’invidia e il risentimento che hanno alimentato l’antipolitica e il sovranismo ( in Italia, non a caso, più che altrove). Il Covid, nel 2021 e oltre, accelererà tutti questi trend. Perché la Cina è l’unico Paese al mondo che ha già ritrovato un segno “più” nell’economia e sorpasserà pertanto gli Stati Uniti nel 2028, cinque anni prima del previsto. Perché l’Asia intera sta uscendo dalla pandemia e soprattutto perché tutti i Paesi emergenti sono giovani: soffrono dunque molto meno per il Covid ( materialmente, ma anche psicologicamente, senza l’atmosfera oppressiva di paura che conosciamo).

DIVENTERÀ VISIBILE IL PROGRESSO DELL’UNITÀ EUROPEA.

Jean Monnet ( un teorico e padre fondatore dell’Europa) diceva nel dopoguerra che sarebbero state le crisi a far compiere balzi in avanti all’unità. Così è stato per il Covid. Per la prima volta, la solidarietà ha portato l’UE a contrarre un debito comune garantito da tutti e a erogare non soltanto prestiti, ma denaro a fondo perduto, a chi ne ha bisogno. Delle enormi conseguenze pratiche, non ci siamo ancora accorti, perché i soldi devono ancora arrivare, ma ce ne accorgeremo a partire dal 2021. “Mutti” ( la mammina), come i tedeschi chiamano affettuosamente la Merkel, è stata protagonista di questo risultato. Uscirà in bellezza, al massimo della popolarità, con le elezioni politiche del settembre 2021, nelle quali non si ripresenterà dopo 16 anni di leadership. Ciò potrebbe costituire una incognita, ma non sino al punto di destabilizzare la Germania o l’Europa. Altre novità potrebbero arrivare dalla Gran Bretagna e dall’Est. Johnson ha infatti perso la sponda dell’anti europeo ( come lui) Trump. E dopo quello della “Brexit”, potrebbe aprirsi il tormentone “Scottexit”, perché i separatisti scozzesi sono di nuovo tentati di andarsene dalla Gran Bretagna, con l’argomento che Londra ha deciso per loro ( e contro di loro) di andarsene dall’Europa. Nel referendum del 2014 persero con il 55% di “no”, ma adesso il risultato potrebbe essere ribaltato. Anche l’Irlanda del Nord ribolle per un problema simile: il 2021 potrebbe dunque avviare un cammino che porta dal “Regno Unito”, al “Regno Disunito”.

Non solo il leader inglese ha perso la sponda di Trump. Anche Kaczynski in Polonia e Orban in Ungheria ( e lo stesso Salvini). I due capi euroscettici dell’Est si trovano adesso in ulteriore difficoltà per il consolidarsi dell’opposizione alla guida di Varsavia e Budapest. Infine, i leader europei potrebbero non dimenticare i brividi provocati da Trump. Potrebbero pensare che gli Stati Uniti sono diventati ormai inaffidabili e che pertanto l’UE non può più essere un gigante economico, sì, ma un nano politico e militare. Ne seguirebbero i primi passi verso una strategia estera e una difesa comune che gli europeisti invocano da decenni.

GLI STATI UNITI HANNO TOCCATO IL FONDO E POSSONO RISALIRE

Non abbiamo ancora metabolizzato l’enormità cui stiamo assistendo: quasi metà del mondo politico, guidata da Trump, ritiene che il presidente degli Stati Uniti sia un ladro e che abbia rubato le elezioni. Mai ciò è accaduto nella storia americana e neppure in quella di democrazie precarie, come la Turchia o l’India. Dal punto più basso, Washington può soltanto risalire. Biden cambierà i toni verso la Cina ( ma non la sostanza). Sarà invece di nuovo un partner dell’Europa. A differenza dei leader italiani, arriva al vertice non con “esperienza zero“, ma con 44 anni di presenza al Senato e, come vice, alla Casa Bianca. Basterà? Special- mente se con l’elezione per i due senatori della Georgia, a fine gennaio, non riuscirà a conquistare la maggioranza al Senato, c’è da dubitarne. Ha vinto la coalizione ABT ( Anybody But Trump: chiunque meno che Trump). Ma una coalizione “contro“qualcosa non può diventare facilmente “per” qualcosa. La leadership degli Stati Uniti continuerà a declinare. Anche se conserva tre grossi punti di forza: le multinazionali tecnologiche; Wall Street ( e il dollaro) al centro della finanza mondiale; la capacità, tipica di una società multietnica, di usare ( o sfruttare) al meglio gli immigrati.

NEL MEDIO ORIENTE LA DEMOCRAZIA PUÒ ATTENDERE

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In Occidente, si grida spesso contro i dittatori mediorientali. Ma, quando si è passati dalle parole ai fatti, è stato un disastro. Perché si è dimenticata la “etica della responsabilità”, ovvero l’obbligo morale per i governanti di calcolare attentamente le conseguenze degli interventi concreti che seguono le parole ( magari dette superficialmente a fin di bene). Abbiamo aggredito tre dittatori pessimi: Saddam, Gheddafi e Assad. I primi due sono stati uccisi. Il terzo resta al potere rafforzato e incattivito. I risultati? In Iraq, Libia e Siria, gli assassinati si sono moltiplicati non per cento ma per mille: un bagno di sangue. Dopo il quale abbiamo ottenuto uno “Stato fallito” e ormai disgregato ( la Libia), più uno spazio insperato ( anche in Iraq e Siria) per i nemici dell’Occidente ( Russia, Iran e Turchia). Complimenti! Nel 2021, non andrà meglio. Forse però gli occidentali, con Biden, saranno meno sbilanciati nell’appoggiare Israele contro i palestinesi e i sunniti contro l’Iran ( e gli sciti).

IN ITALIA, CERTEZZE PER L’ECONOMIA E ASSOLUTA INCERTEZZA PER LA POLITICA

Purtroppo, anche il trend economico italiano non potrà che continuare, perché andiamo indietro rispetto agli altri da un quarto di secolo, le cause del disastro sono strutturali e si eliminano ( se si eliminano) in tempi molto lunghi. Vogliamo usare come mazzate poche parole e cifre? Siamo un Paese di vecchi e i giovani non soltanto sono pochi, sono tra i meno istruiti: per percentuale di laureati, navighiamo infatti intorno al penultimo posto tra i 36 Paesi dell’OCSE ( Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). In proporzione al numero complessivo dei lavoratori, i nostri ricercatori sono la metà di Germania o Francia. Le aziende private spendono in ricerca e sviluppo metà della media OCSE. Anche per questo, siamo al 30° posto per competitività.

La nostra produttività è salita praticamente niente, ovvero dello 0,4% in vent’anni ( un quarantesimo rispetto a Francia o Germania). Gli italiani che lavorano sono soltanto il 57,8% ( contro la media OCSE del 68): siamo pertanto al terz’ultimo posto su 36 ( precedendo soltanto Turchia e Grecia). E per le donne va ancor peggio: sono tra quelle che lavorano meno e fanno meno figli. Non per caso, perché l’incertezza economica provoca, come è noto, la denatalità. Dal momento che i conti tornano purtroppo sempre, il risultato è ovvio: il reddito per ciascun italiano è lo stesso del 2000; nel corso del nostro “ventennio perduto”, siamo andati indietro del 28% rispetto alla media OCSE.

Cosa ancora si può aggiungere? E’ una catastrofe di cui gli italiani non si sono resi conto appieno, perché si è consumata lentamente, anno dopo anno, e perché non tutti vanno in giro a vedere cosa succede nelle aree vitali del mondo. Siamo bolliti senza accorgercene, a poco a poco, come la rana nella pentola resa famosa dal filosofo Noam Chomski: se fossimo stati buttati all’improvviso nell’acqua che scotta, saremmo balzati fuori al volo e ci saremmo salvati. Il Recovery Fund arriverà, certo. Anche se gli odiati burocrati di Bruxelles si preparano a dirci. “Non potete fare gli europei soltanto quando c’è da prendere i soldi: evitate almeno di continuare ad avere una evasione fiscale sudamericana e una certezza del diritto da terzo mondo”. Ma i soldi, per quanto tanti, non risolveranno in un anno il disastro di venti ( ammesso che siano spesi non più in pensioni anticipate e stipendi per i nullafacenti, ma in investimenti produttivi).

Se le previsioni economiche sono purtroppo facili, quelle politiche sono assolutamente incerte. Per il semplice motivo che i nostri leader hanno dimostrato di poter fare tutto e il contrario di tutto. E i casi unici al mondo si moltiplicano. Il presidente del Consiglio è diventato tale senza che nessuno lo conoscesse, non ci dice per chi ha votato in passato, non è stato mai eletto neppure in un consiglio comunale, ha governato indifferentemente sia con l’estrema destra che con l’estrema sinistra nell’arco di soli 30 mesi.

Il principale partito di opposizione, ovvero la Lega, è diventato ( da separatista e padano) nazionalista e sovranista, passando dalla bandiera verde a quella tricolore. Il partito di maggioranza relativa, ovvero M5S, ha trionfato elettoralmente spiegando che i politici di Lega e PD sono ladri e malavitosi. Poi si è alleato tranquillamente sia con i politici “ladri di destra” che con i politici “ladri di sinistra”. Ha promesso di rovesciare tutto e adesso è il più diligente custode del governo, della stabilità e di quelle che sino a ieri chiamava “poltrone”. Da tempo, l’imprevedibilità e inaffidabilità di tutti gli altri ha trasformato il capo dello Stato nell’unico custode delle istituzioni, con poteri di fatto anche al di là della Carta Costituzionale e della tradizione.

Ma adesso sta per essere eletto il nuovo Presidente da un Parlamento non rappresentativo, simile a una nave senza timoniere e con un equipaggio di disperati, senza più nulla da perdere. Il perché è il frutto di un combinato disposto micidiale: la riduzione di un terzo del numero dei parlamentari più il capovolgimento, secondo i sondaggi, degli equilibri usciti dalle elezioni del 2018.

IL CASO LIMITE DEL M5S

Se si fanno i conti, si vede che il 70 % dei parlamentari grillini è già fuori. Il rimanente 30 sarà ulteriormente falcidiato dalla regola dei due mandati massimi ( se reggerà) e dalla lotteria nelle candidature. Lo stesso discorso si può fare per Italia Viva, Forza Italia e non solo. I parlamentari di M5S ( e la maggioranza degli altri), venuti dal nulla, ritorneranno nel nulla. Più si avvicinerà il momento di eleggere il capo dello Stato, più diventeranno imprevedibili e ingovernabili. E questa sarà la caratteristica prevalente della politica nella seconda metà dell’anno. Un miracolo ci salverà dal collasso delle istituzioni? Forse sì, perché ne sono già avvenuti tanti. Ma nessuno ci salverà dal fatto che le istituzioni stesse continueranno ad assistere passive al declino del Paese, descritto dalle cifre sopra ricordate.

Cifre sulle quali tuttavia va data un’avvertenza importante. Il disastro economico riguarda l’Italia, ma non tutta l’Italia, perché molte aree, soprattutto del Veneto e della Lombardia, hanno raggiunto elevati standard europei ( senza, e spesso nonostante, l’azione dei pubblici poteri). Quanto a lungo queste aree accetteranno di far parte di un Paese che affonda e che si divarica sempre più tra Nord e Sud? La Lega, da sovranista, potrebbe ritornare separatista. E allora tutte le prospettive cambierebbero completamente.

PECHINO E L’ASIA ALLA RISCOSSA

MENTRE IN EUROPA CONTINUANO A IMPERVERSARE L’ANTIPOLITICA E IL NAZIONALISMO, L’ECONOMIA CINESE È LA SOLA A TERMINARE CON IL SEGNO POSITIVO DA QUESTO ANNO TERRIBILE.

PERCHÉ L’ASIA INTERA STA USCENDO PER PRIMA DALLA PANDEMIA DI CORONAVIRUS E SOPRATTUTTO PERCHÉ TUTTI I SUOI PAESI EMERGENTI MSONO GIOVANI: SOFFRONO DUNQUE MOLTO MENO PER IL COVID ( MATERIALMENTE, MA ANCHE PSICOLOGICAMENTE, SENZA L’ATMOSFERA OPPRESSIVA DI PAURA CHE CONOSCIAMO)