Il copione lo conosciamo: lo abbiamo imparato attraverso la storia di Nasrin Sotoudeh, avvocata e attivista iraniana accusata di «propaganda sovversiva» e condannata nel 2018 a 148 frustate e 33 anni e mezzo di carcere per aver difeso una donna che si era opposta all'obbligo di indossare lo hijab, il velo che copre interamente il capo. Questa volta si tratta della giovane attivista Saba Kord Afshari, per la quale lunedì scorso la Sezione 28 della Corte Suprema iraniana ha respinto la richiesta di revisione del processo che le era costato una condanna a 24 anni di carcere. Saba ha soli vent'anni quando viene arrestata il 1 giugno 2019: le autorità della Repubblica islamica dell'Iran l'accusano di «propaganda sovversiva» perché si rifiuta di indossare il velo. Ma i guai per lei cominciano ancora prima, nel 2018, quando viene arrestata per la prima volta durante le proteste a Teheran. Da allora comincia la sua odissea giudiziaria, con una condanna dietro l'altra: 15 anni di carcere per «incitamento e favoreggiamento della corruzione e della prostituzione», 7 anni e mezzo per «associazione e collusione al fine di commettere crimini contro la sicurezza nazionale», e un anno e mezzo per avere «svolto una propaganda contro il sistema». Rilasciata temporaneamente nel febbraio dell'anno scorso, l'attivista non rinuncia a protestare contro le violazioni dei diritti umani da parte del regime iraniano. Quindi l'arresto di giugno. Nel novembre 2019, la pena a suo carico viene ridotta in appello a 15 anni. Per poi essere ripristinata a maggio del 2020, come informa il suo avvocato in un tweet. La stessa sorte spetta a sua madre, che come lei ha protestato contro l'obbligo di indossare il velo. Saba passa da un carcere all'altro: dal carcere femminile di Qarchak, a Sud di Teheran - noto per le pessime condizioni igieniche e i maltrattamenti sui prigionieri politici - è trasferita nell'altrettanto famigerato istituto di Evin, dove si trova tutt'ora. Nella prigione presidiata dai Guardiani della Rivoluzione viene costretta ripetutamente a rendere una confessione. Le vengono negate le cure mediche, né può beneficiare del provvedimento con cui l'Iran ha rilasciato migliaia di detenuti per contenere il contagio da Coronavirus negli istituti. La sua sorte è comune a quella di moltissime altre donne che come lei sono pronte a sacrificare la libertà per difendere i propri diritti. Nel 2018 le autorità hanno arrestato in un solo giorno 29 donne: si tratta delle Le ragazze di via della Rivoluzione, scese in piazza a Teheran a volto scoperto, e la cui lotta ha fatto il giro dei social network. Lo racconta Masih Alinejad, giornalista e attivista iraniana, durante il convegno dell'Ordine degli avvocati di Roma e Milano dedicato alla avvocata turca Ebru Timtik morta ad agosto dopo un lungo sciopero della fame. Messa al bando con lappellativo di «oppositrice», Alinejad è perseguitata insieme alla sua famiglia, per aver lanciato nel 2014 una campagna contro lobbligo per le donne di indossare lo hijab. «Non si tratta di una questione interna al paese, è il simbolo stesso della repressione e della dittatura religiosa», spiega lattivista,  «questa è una battaglia globale per cambiare una legge sbagliata».