Palermo. Si è conclusa nella tarda mattinata il 36esimo Congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati con una mozione unitaria che ricompatta le toghe, dopo qualche mese di frizioni. Non era contemplata una ipotesi diversa perché in questo momento che il governo sta mettendo in cantiere la riforma costituzionale – benché Nordio abbia fatto capire che i tempi si allungano – la magistratura deve apparire ed essere un corpo unico per fronteggiare i desiderata di Via Arenula.

«Non si tratta di discutere di diritti dell'impiegato magistrato, è un problema di cultura istituzionale e costituzionale. Non abbiamo da trattare, ma da parlare alla politica e alla società intera per dire che questa Costituzione ha ancora molto da dire, non va toccata almeno per quanto riguarda la giurisdizione»: ha detto il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, al termine. Ha poi aggiunto: «Questo congresso lo abbiamo voluto per fare una riflessione seria sulle critiche che abbiamo ricevuto nei mesi scorsi. Anche affidate a messaggi mediatici con toni offensivi nei confronti di singoli magistrati coinvolti. Abbiamo voluto analizzare qual è il contesto in cui opera la giurisdizione. L'interpretazione della legge non può arretrare e i magistrati, avendo come interpreti della legge un margine di discrezionalità, devono farsene carico per tutelare anche l'immagine di imparzialità nel momento in cui intervengono anche nella vita sociale e nella vita di relazione». Santalucia ha concluso: «Il congresso porrà anche ai magistrati l'attenzione su alcune regole di comportamento da osservare in modo che i cittadini non abbiano mai a dubitare dell'imparzialità dei magistrati, ma non facendo dei magistrati dei soggetti che devono restare in una zona d'ombra e in un silenzio coatto. I magistrati possono partecipare e devono partecipare alla discussione pubblica e lo devono fare con lo stile e il profilo di un magistrato».

La mozione approvata

Proponiamo alcuni stralci del documento approvato all’unanimità che si sviluppa su quattro linee principali: ampliamento dello spazio interpretativo della norma, diritto del magistrato ad intervenire nel dibattito pubblico, comunicazione adeguata sia sui media che sui social, contrasto alla riforma costituzionale.

1. Dal caso Apostolico…

“La legge alla quale diamo osservanza quotidiana non si limita al singolo precetto normativo, perché questo è inserito in un sistema giuridico, che si compone delle altre norme e dei sovraordinati principi costituzionali e sovranazionali. Se le disposizioni di rango primario si pongono in frizione con i diritti e le libertà fondamentali garantiti dalla Costituzione, e dalle fonti del diritto dell’Unione, quindi, è dovere di ogni magistrato ricorrere, con la dovuta ponderazione e prudenza, agli strumenti che l’ordinamento pone a tutela dei diritti che devono essere assicurati ad ogni persona.

Ma più il dettato normativo è confuso e carente di tassatività, più esso è disorganico rispetto al corpo complessivo delle norme nelle quali viene incluso, più si pone in contrasto con i principi della legislazione internazionale e della Costituzione e più si amplia lo spazio concesso all’interpretazione giudiziaria.

La magistratura italiana conferma anche il suo impegno volto ad assicurare che la risposta alla domanda di giustizia sia sempre più tempestiva, ma va mantenuto fermo il principio che l’attività del giudicare non può mai essere demandate all’intelligenza artificiale, che può e deve servire per assicurare più efficaci strumenti di organizzazione, non per supplire all’attività del giudicare, che è e deve restare prerogativa esclusivamente umana.

Dell’ampia discrezionalità immanente all’attività interpretativa i magistrati italiani danno quotidianamente conto al popolo, nel cui nome amministrano la giustizia, con le motivazioni dei loro provvedimenti, che costituiscono il cuore pulsante dell’attività giurisdizionale.

È dannosa per le istituzioni una critica che non parta dalle motivazioni del provvedimento giudiziario, e che sia fondata sulla ricerca nella vita privata del magistrato, di dichiarazioni o meri comportamenti che, talvolta travisati e comunicati ad arte, possano dare, all'opinione pubblica, l’impressione di un pregiudizio, di una partigianeria che ne ha guidato la penna.

Questo modo di muovere critiche alle decisioni dei giudici va contrastato con grande fermezza, perché inquina il dibattito pubblico intorno alla giustizia e genera sfiducia verso la magistratura.

2. Diritto di parola

Dobbiamo interrogarci sul fondamento e i limiti della libertà di manifestazione del pensiero del magistrato, che è un cittadino e deve poter dare il suo apporto alla discussione pubblica, offrendo un punto di vista che è anche il portato della sua qualificazione tecnica. La partecipazione al discorso pubblico, pur con la cautela imposta dal ruolo, può contribuire a una più consapevole considerazione delle implicazioni delle scelte che il decisore politico intende assumere, soprattutto quando vengono in rilievo possibili compressioni dei diritti fondamentali, nell’ottica del perseguimento delle finalità previste dalla Costituzione.

Proprio per questo dobbiamo interrogarci su quali siano i temi, le modalità e i contenuti più idonei a prevenire strumentalizzazioni e a evitare che le nostre voci si confondano con il rumore di fondo di un dibattito, spesso confuso e sgrammaticato, e finiscano per ingenerare ancora più confusione e disorientamento nei cittadini.

Rivendichiamo l'importanza della partecipazione di tutti i magistrati al dibattito pubblico, non solo in quanto cittadini dotati di pari diritti rispetto agli altri, ma anche come portatori di esperienza, cultura, principi, ispirati ai valori costituzionali ed alla legalità.

3. Come comunicare all’opinione pubblica

In primo luogo, è necessario comprendere che tutto ciò che viene affidato alla rete internet, mediante qualsiasi media e social network, è destinato ad essere sempre nel tempo reperibile ed è suscettibile di essere portato a conoscenza del pubblico nonostante l'apparente riservatezza o l'iniziale selezione dei destinatari.

Più in generale è necessario prendere atto che, per una parte dell'uditorio, le dichiarazioni rese dal magistrato vengono percepite quali espressioni di pensieri e valori riferibili all'intera magistratura e la comunicazione deve quindi adeguarsi a questo dato quanto a scelta dei temi, stile e contenuti.

Non vi è dubbio che, in ogni caso, il magistrato debba sempre interrogarsi se vi sia un interesse a ricevere le sue opinioni e valutazioni e se la sua cultura e la sua esperienza possano arricchire in modo qualificante il dibattito pubblico sul tema specifico, ovvero essere di pari valore rispetto a quelle espresse da ogni altro cittadino.

4. Contro la separazione delle carriere e i due Csm

Quanto alle riforme costituzionali l’Anm ribadisce la propria intransigente contrarietà alla separazione delle carriere e al complessivo indebolimento del CSM che ne costituiscono il contenuto principale.

L'unicità della magistratura è valore fondante del nostro associazionismo: tale sua caratteristica ontologica è incompatibile con ogni possibilità di mediazione e trattativa sugli specifici contenuti delle riforme. La separazione delle carriere non è affatto funzionale a garantire la terzietà del giudice, ma appare piuttosto uno strumento per indebolire in modo sostanziale il ruolo del pubblico ministero e, conseguentemente, la funzione di controllo di legalità rimessa al giudice e lascia presagire che venga agitata come strumento di ritorsione e minaccia nei confronti della magistratura tutta.

Separare il pubblico ministero dal giudice, quali che siano le modalità di tale separazione, distinguere le carriere all’accesso e dal punto di vista ordinamentale, separare gli organi di autogoverno, porterebbe alla istituzione di una figura professionale di “pubblico persecutore”, molto lontana dall’attuale organo dell’accusa, che, lo ricordiamo, oggi è preposto alla ricerca della verità ed è garante del rispetto delle prerogative dell’indagato, anche nella fase della raccolta delle prove da parte della polizia giudiziaria. Separare il pubblico ministero dal giudice avrebbe gravissime ripercussioni sull’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale indispensabile per l’attuazione del principio di eguaglianza del cittadino dinanzi alla legge.

L'Anm ribadisce, inoltre, che il Csm è l'unico presidio posto dalla Costituzione a tutela dell'autonomia ed indipendenza della magistratura, che è indispensabile per realizzare l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Le riforme prospettate indebolirebbero fatalmente l’organo di autogoverno dei magistrati, riducendone le competenze, eliminando quelle di maggior rilievo, compromettendone l’autorevolezza e alterando la proporzione tra componenti laici e togati. Tale indebolimento pregiudica la realizzazione dell’uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini.

5. Conclusioni

L'Anm è determinata ad assumere ogni utile iniziativa per informare l’opinione pubblica in ordine alla propria argomentata opposizione a tale riforma, ed invita da subito tutti gli iscritti ad una mobilitazione culturale e comunicativa che faccia comprendere i rischi che questa comporta per l'effettiva tutela dei diritti dei cittadini e per la scrupolosa osservanza delle loro garanzie costituzionali.