IL CASO

A LA NOTA DEI PENALISTI

«Avolte ci sono incubi che sembrano immuni da qualsiasi pacificante risveglio. Sembra proprio questa la condizione in cui si trova, ormai da anni, Daniela Poggiali, accusata del più grave dei delitti, l’omicidio, che sarebbe stato commesso ai danni di anziani che lei stessa aveva in cura quale infermiera», inizia così il comunicato che la camera penale di Blogna ha dedicato all’Odissea giudiziaria di Daniela Poggiali. «La vicenda è molto nota, avendo suscitato grande interesse, a tratti morboso, da parte dei media locali e nazionali. Una vicenda che ha trovato già diversi esiti processuali, con tre diverse sentenze assolutorie emesse dalla Corte di di Appello di Bologna, che però, a quanto pare, non saranno sufficienti a mettere fine ad un processo durato diversi anni, avendo appreso di un ennesimo ricorso in Cassazione preannunciato da parte della Procura Generale.

Dopo l’ultima sentenza, emessa pochi mesi fa, con la più ampia formula assolutoria per l’insussistenza dei fatti, la sig. ra Poggiali avrà pensato di essersi finalmente ridestata da quell’ incubo in cui era scivolata nel lontano 2014.

Un incubo processuale che è stato inesorabilmente accompagnato da una brutale gogna mediatica, che assume la colpevolezza quale presunzione assoluta, tanto da averle da subito cucito addosso la spregevole definizione di “angelo della morte». «D’altra parte continuano i penalisti questa è la drammatica realtà che segna ormai troppe vicende di cronaca in questo paese: la costruzione mediatica del “mostro” da mettere sul banco degli imputati di un processo popolare spettacolarizzato, in cui la sentenza deve essere immediata, e deve essere inesorabilmente di condanna. Ovviamente senza ristori o scuse se si scopre che il “mostro” è innocente.

Questa triste constatazione può valere quando la si applichi ad una opinione pubblica formata e intrisa della cultura del sospetto, che non si è ancora del tutto scrollata di dosso quei primordiali istinti vendicativi che avevano portato, nel medioevo, la Santa Inquisizione a una strage di donne innocenti, ritenute “streghe” sol perché colpevoli di comportamenti non conformi alla morale pubblica».

«La stessa morale che, per inciso, oggi consente di sovrapporre comportamenti eticamente o moralmente inappropriati a turpi delitti, e che reclama la condanna per questi delitti in forza di quei comportamenti.

Ma se al popolo difficilmente può chiedersi di prendere atto che la “verità” la si costruisce nell’ambito di un Giusto processo regolato dalle norme delle Costituzione e del Codice, e che a costruire i mostri non possono bastare i “chiacchiericci”».