Quando ci sono i migranti di mezzo, i giornali garantisti spesso vacillano e quelli manettari possono esultare liberamente con la forca in mano. Succede così che gli atti dell’inchiesta giudiziaria della procura di Ragusa su Luca Casarini e altri esponenti della Ong Mediterranea, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per il trasbordo di 27 persone - avvenuto nel settembre del 2020 - salvate dalla nave mercantile Maersk Etienne, finiscano spiattellati in prima pagina senza alcun ritegno. Una fuga di notizie così imponente da non risparmiare nemmeno intercettazioni che forse non sarebbero dovute finire nel fascicolo dell’inchiesta, come quelle tra Casarini e un deputato della Repubblica: Matteo Orfini. 

Per la Verità, il giornale che insieme a Panorama pubblica da settimane stralci del brogliaccio d’indagine, quelle conversazioni Whatsapp messe agli atti sarebbero la dimostrazione non della contiguità del Pd con i “no global” di Mediterranea, ma dell’aiuto fornito da alcuni parlamentari dem alla «grande pesca dei migranti in mare». Ma, scelte stilistiche ed editoriali a parte, l’acquisizione di corrispondenza con un parlamentare ritrovata sul cellulare sequestrato a Casarini era legittima? Secondo la sentenza 170 del 2023 della Corte costituzionale, no.

Perché se già la Cassazione ha stabilito che l’acquisizione dei tabulati gode delle tutele accordate ai parlamentari dagli articoli 15 e 68, terzo comma, della Costituzione, «è impensabile che non ne fruisca, invece, il sequestro di messaggi elettronici, anche se già recapitati al destinatario: operazione che consente di venire a conoscenza non soltanto dei dati identificativi estrinseci delle comunicazioni, ma anche del loro contenuto, e dunque di attitudine intrusiva tendenzialmente maggiore», recita il verdetto della Consulta. Per acquisire quelle “prove” gli inquirenti avrebbero dunque dovuto, con ogni probabilità, chiedere l’autorizzazione alla Camera d’appartenenza dell’eletto.

Non siamo infatti di fronte a una captazione casuale, occasionale, di una conversazione di un indagato con un deputato estraneo alle indagini, come può accadere nel caso delle intercettazioni telefoniche (il cui utilizzo resta comunque fortemente limitato dalla legge). Davanti a una chat è difficile ignorare che si tratti di comunicazioni con un parlamentare, soprattutto se sei consapevole che l’indagato ha contatti con la politica e con quel politico in particolare, che si è fatto garante con le banche, insieme ad altri, per l’acquisto della nave da soccorso.

La casualità, in questo caso, è difficile da sostenere. «Mettiamo che vengano acquisite tutte le chat da un telefonino sequestrato», spiega l’avvocato Luigi Antonio Paolo Panella, giurista esperto della materia. «Se vedi che ci sono conversazioni con parlamentari, per poterle utilizzare in qualsiasi modo, devi necessariamente andare alla Camera d'appartenenza e dire: guardate abbiamo ritrovato chat con un parlamentare su questo telefono, possiamo usarle? L'autorizzazione preventiva è indispensabile, perché io so che se continuo a leggere quei messaggi accedo alla sfera di comunicazione di un parlamentare. E questo non è possibile. Quelle comunicazioni non potevano finire in un fascicolo». Né tanto meno finire sui giornali.

Il diretto interessato, Matteo Orfini, ha già presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per chiedere chiarimenti. «Spero che il ministro competente risponda», spiega al Dubbio l’esponente dem, per «capire come sia possibile che ci sia una fuga di notizie di questo tipo e se si intende approfondire quanto accaduto per evitare che succeda di nuovo». Il problema non sono solo le sue intercettazioni, spiega Orfini, «perché tutto appariva abbastanza improprio già prima che uscissero sui giornali i miei messaggi. Ci sono intercettazioni che nulla hanno a che fare con l'inchiesta che riguardano altra gente». Sul contenuto delle conversazioni, invece, il parlamentare del Pd non ha dubbi: i fatti raccontati dalla Verità sono «ampiamente noti e diciamo abbastanza ridicoli. Sì, è vero, quando c'erano barche in difficoltà nel Mediterraneo tutti ci attivavamo per convincere i governi di turno a intervenir per evita che affondassero. Stiamo parlando cioè di persone che si attivavano per evitare tragedie tipo Cutro».

Ma le probabili anomalie di questa inchiesta sembrano non finire qui. «Sono due settimane che assistiamo pubblicazioni quotidiane», dice l’avvocato Fabio Lanfranca, difensore, insieme a Serena Romano, di Luca Casarini. «Sono stati sottratti illecitamente da questa indagine. Sottratti illecitamente nella misura in cui qualcuno ha fatto avere a una testata giornalistica degli atti non pubblicabili, in quanto coperti da un divieto previsto dall'articolo 114 e il codice procedura penale». Non solo. Il reato contestato si sarebbe consumato nel settembre 2020. E allora perché il fascicolo è pieno di documentazione precedente a questo periodo, come nel caso dei messaggi di Orfini? «Gli atti utilizzabili sono quelli che fanno riferimento a fatti anche riguardanti l'episodio per cui mi devo difendere in tribunale», spiega ancora l’avvocato Lanfranca. Invece in questo caso abbiamo assistito alla pubblicazione di tutta una serie di scambi sostanzialmente privati, che attengono addirittura anche a convinzioni religiose di alcuni indagati. Qui c'è una violazione dei diritti personali gravissimi».

Eppure la Verità esulta. Davanti alla notizia, alla soffiata di una notizia, le garanzie possono passare in secondo piano. Il processo si fa sulla stampa.