Un'indagine dal doppio fine: quello per permettere al magistrato Letizia Ruggeri «una compiuta valutazione anche della sua posizione in relazione a tutte le doglianze dell’opponente» e anche per «permettere alla stessa un’adeguata difesa». È quanto deciso dal gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, che ha ordinato l'iscrizione nel registro degli indagati della pm che indagò sull'omicidio di Yara Gambirasio.

È proprio in relazione alla conservazione dei reperti di dna rinvenuti sul corpo e sui vestiti della 13enne di Brembate, trovata senza vita il 26 febbraio 2011 in un campo di Chignolo d'Isola, che adesso si dovranno muovere le indagini. Bisognerà infatti valutare se, come sostengono i difensori di Massimo Bossetti, condannato in via definitiva all'ergastolo per l'efferato omicidio, ci siano state o meno eventuali responsabilità nella malconservazione dei campioni di dna.

«Sono sempre garantista e lo sono anche in questa circostanza, vedremo», dice l'avvocato Claudio Salvagni, storico difensore di Bossetti, che la procura dopo una lunga indagine ha identificato essere “ignoto 1”, quello della traccia di dna rinvenuta sugli indumenti intimi di Yara. Il muratore di Mapello, però, da sempre si dichiara innocente e, per tramite dei suoi legali, ha chiesto più volte che venisse confrontata nuovamente la prova regina dell'accusa, ossia il dna di “ignoto 1”, con il suo. Una richiesta, questa, che il giudice dell'esecuzione ha autorizzato soltanto il 27 novembre 2019: tredici mesi dopo la condanna definitiva di Bossetti e cinque giorni prima che quei reperti biologici venissero distrutti.

Se il profilo genetico di “ignoto 1” sia davvero quello di Massimo Bossetti, come affermano i tre gradi di giudizio, o no, come lo stesso afferma, non si potrà mai più accertare. «Questi esami non potranno più essere fatti perché il dna è stato distrutto», dice con amarezza l'avvocato Salvagni, ricordando come i reperti biologici disposti in 54 provette siano stati «portati da una temperatura di meno 80 gradi ad una temperatura ambiente e così il materiale biologico si è in automatico distrutto. La gravità sta proprio in questo aver deliberatamente o meno distrutto quel Dna». In virtù di ciò, il pool difensivo di Bossetti, ipotizzando il reato di depistaggio, ha sporto denuncia nei confronti del presidente della Corte d’Assise, Giovanni Petillo e della dottoressa Laura Epis, funzionaria dell’ufficio corpi di reato. La procura di Venezia (competente sui magistrati di Bergamo) ha chiesto l'archiviazione.

«A seguito della richiesta di archiviazione - ripercorre l'avvocato Salvagni - abbiamo avuto accesso agli atti di indagini di Venezia e quando li abbiamo letti siamo saltati sulla sedia perché a nostro giudizio emerge chiarissima la responsabilità della dottoressa Ruggeri». Da qui l'opposizione, con un documento di 70 pagine e la decisione del gip: da un lato ha archiviato le posizioni per depistaggio doloso di Perillo e di Epis e dall'altro ha rimandato gli atti in procura per il reato di depistaggio nei confronti del pubblico ministero Ruggeri.

Nelle nuove indagini che la procura di Venezia dovrà compiere giocheranno un ruolo cruciale alcune date, tre in particolare. La prima, quella della Corte di Cassazione, che il 12 ottobre 2018 ha condannato in via definitiva Massimo Bossetti quale assassino di Yara Gambirasio. Cinque mesi dopo il pubblico ministero Ruggeri chiede al giudice di poter spostare tutti i reperti all'ufficio corpo di reato. Una richiesta accolta e autorizzata dal giudice nel settembre del 2019.

C'è ancora un'altra data importante: il 21 novembre 2019 quando i carabinieri di Bergamo procedono a spostare «fisicamente» tutti i reperti dell'omicidio Gambirasio, compreso i 54 campioni di dna, dal laboratorio San Raffaele di Milano, dove erano conservati ad una temperatura di -80 gradi, all'ufficio corpo di reato. «Quando i carabinieri li ritirano dal San Raffaele allertano il pubblico ministero che lo spostamento dei reperti da una temperatura ad un'altra li avrebbe distrutti - evidenzia Salvagni -, ma il pm fa procedere. I carabinieri però, per scrupolo, portano e conservano i campioni nei freezer della compagnia».

Nel frattempo la difesa di Bossetti, il 27 novembre 2019, ottiene l'autorizzazione del giudice ad analizzare il dna: «La dottoressa Ruggeri – evidenzia Salvagni - era a conoscenza che la difesa fosse stata autorizzata a procedere con l'analisi perché io stesso, sabato 30 novembre 2019, sono stato a Bergamo per notificare l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione ad esaminare quei reperti. Lo sapevano». Cinque giorni dopo, il 2 dicembre, i reperti, compreso il dna che poteva togliere oltre ogni dubbio sul profilo genetico di “ignoto 1” e mettere la parola fine al caso, sono stati portati all'ufficio corpo di reato. «Fino al 2 dicembre erano in freezer correttamente custoditi e analizzabili» è il rammarico della difesa di Bossetti, che spera venga «certificata la distruzione dei reperti che - ricorda l'avvocato Salvagni - è un fatto illecito».