«Grazie alla "coesa struttura", alle sue "capacità militari" e al "forte radicamento nel territorio", la ’ndrangheta si conferma oggi l’assoluta dominatrice della scena criminale». È un piccolo ma decisivo estratto dell’ultima relazione con cui la Dia avvisa che la ’ndrangheta è la più forte delle mafie italiane.

Una relazione a cui i consiglieri del Csm che ieri l’altro hanno nominato Gratteri al vertice della procura di Napoli avrebbero fatto bene a riservare un’attenta lettura, o almeno una sbirciatina. Ma la visceralità della contrapposizione tra i Gratteri-boys e i critici del pm calabrese ha completamente appannato e ottenebrato un esame oggettivo e sereno del “modello Gratteri”. Il Consiglio superiore avrebbe dovuto valutare nel merito i candidati alla procura di Napoli, chiedersi seriamente se l’ormai ex capo dei pm di Catanzaro abbia le capacità tecniche per ricoprire un ruolo tanto delicato. Avrebbe dovuto studiare con cura le sue inchieste passate: i suoi successi e i suoi insuccessi, certificati dalla valanga di assoluzioni decise da colleghi chiamati a giudicare il suo lavoro lontano dalle telecamere e in un’aula di tribunale: lì dove si forma la prova.

Insomma, la nomina di Gratteri è un evidente cedimento al populismo giudiziario. La verità è che la gran parte dei consiglieri del Csm, consapevole della straordinaria forza mediatica vantata dal magistrato calabrese, non ha voluto grane e ha dato l’ok a una nomina tutta di facciata. Nessuno si è davvero mai chiesto se fosse la persona giusta nel posto giusto. Ovvero, qualcuno se l’è chiesto: sono i suoi colleghi che nel “segreto” delle chat hanno espresso amarezza, preoccupazione e rabbia. Ma lo hanno fatto di nascosto, in silenzio, come fossero dei pericolosi criminali e non dei bravi e specchiati magistrati.