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TOMMASO CALDERONE POLITICO
Meno potere alla polizia giudiziaria in fatto di intercettazioni, più responsabilità per il pm. Mira a questo la proposta di legge depositata martedì dal deputato di Forza Italia Tommaso Calderone, che prevede modifiche all’articolo 268 del codice di procedura penale in materia di trascrizione di contenuti di intercettazioni non rilevanti.
La proposta, finalizzata «a riportare il procedimento penale nell’alveo degli irrinunciabili principi costituzionali che lo presidiano e lo governano», prevede un controllo del magistrato titolare delle indagini sulle cosiddette intercettazioni non rilevanti: «La polizia giudiziaria - spiega infatti Calderone al Dubbio - ha potere di vita e di morte, allo stato attuale. Spetta a loro stabilire quali intercettazioni sono rilevanti e quali no, con la conseguenza che queste ultime sfuggono al controllo del pm. Ma quelle intercettazioni possono essere rilevanti per la difesa, che solo dopo ore e ore di ascolti potrà poi individuarle.
E magari, grazie a quelle intercettazioni, si potrebbe evitare una misura cautelare». L’idea è quella di obbligare la polizia giudiziaria a comunicare al pm non solo il contenuto delle intercettazioni rilevanti, ma quello di tutte le captazioni.
Sarà poi il titolare delle indagini a stabilire se quelle conversazioni sono utili o meno, con una verifica in tempo reale che rafforza il diritto di difesa. «Come noto - afferma Calderone nella relazione che accompagna la proposta -, l’intervento del pubblico ministero è attualmente limitato a fornire indicazioni e a vigilare affinché siano rispettate le prescrizioni del comma 2 dell’articolo 268 del codice di rito: ovvero che nei verbali siano trascritti soltanto il contenuto rilevante ai fini delle indagini, anche a favore della persona sottoposta ad indagine, e che il contenuto di quelle non rilevanti non sia trascritto neppure sommariamente».
L’intervento incrementerebbe lo scambio tra polizia giudiziaria e pubblico ministero, consentendogli «di intervenire nella gestione delle intercettazioni ed evitare possibili travisamenti e, quindi, inutilizzabilità del materiale captato nell’ambito del processo». Una funzione di controllo sull’operato della polizia giudiziaria «sino ad oggi sconosciuta al nostro ordinamento» , specie a seguito della riforma Bonafede. «Le esigenze di speditezza delle operazioni non possono in alcun modo esser ritenute prevalenti sul rispetto dei fondamentali diritti dell’indagato - continua Calderone -, le regole e i principi che sono in gioco sono quelli fondanti lo Stato di diritto che Forza Italia non cesserà mai di difendere».
Prima di chiedere la proroga delle intercettazioni e, comunque, al termine del periodo di captazione, la polizia giudiziaria è dunque chiamata a redigere una specifica informativa sul contenuto delle conversazioni ritenute non rilevanti, l'oggetto specifico degli argomenti e l’identità dei soggetti captati. Il pm, una volta verificato il materiale, dispone l’acquisizione delle intercettazioni ritenute rilevanti, disponendo, per il resto, la restituzione della informativa, da custodire negli archivi ed estraibile «solo per comprovate ragioni indicate dalla difesa e su autorizzazione del giudice per le indagini preliminari». La difesa, allo stato attuale, può accedere alle conversazioni ritenute non rilevanti, nella stragrande maggioranza dei casi, quando le indagini sono già chiuse e magari è stato già emesso provvedimento restrittivo.
Così, «anche lo stesso pubblico ministero rimane ignaro e deve effettuare le sue valutazioni esclusivamente sul materiale probatorio portato a conoscenza dalla polizia giudiziaria», prosegue il deputato azzurro. La ratio, dunque, è quella di coniugare «esigenze probatorie, diritto di difesa e tutela della riservatezza», prevedendo anche la facoltà, per la difesa, una volta presa contezza del materiale, di indicare le intercettazioni ritenute rilevanti, «con conseguente dovere del giudice di provvedere in conformità». La proposta prevede anche che il giudice possa disporre l’acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche aventi ad oggetto conversazioni di natura privata o familiare, «soltanto nei casi in cui il difensore le abbia indicate come rilevanti ai fini delle indagini, indicandone le motivazioni».