«In vigile attesa di vedervi in galera». Non è stata dolce l’accoglienza riservata a Brescia all’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e all’ex ministro della Salute Roberto Speranza, che si sono difesi nel merito davanti al Tribunale dei Ministri nell'ambito dell'inchiesta Covid che li vede indagati per epidemia ed omicidio colposi.

Ad attenderli c’erano infatti gli striscioni minacciosi dei no vax, ma anche un gruppo di familiari delle vittime, che hanno manifestato in maniera composta il loro dolore per una tragedia che, a loro dire, avrebbe delle responsabilità politiche. Una convinzione fatta propria anche dalla procura di Bergamo, titolare del fascicolo, poi trasferito per competenza a Brescia in virtù della carica ricoperta all’epoca dei fatti dai due principali indagati. Assieme a loro altre 17 persone rischiano il process. Conte - accusato della mancata istituzione della zona rossa - e Speranza - a cui viene contestata la mancata attuazione del piano pandemico - hanno spiegato che il piano pandemico 2006 era «totalmente inefficace» di fronte all’insorgere del covid, censurando il «grave errore del consulente Andrea Crisanti» che avrebbe «indotto la procura a seguirlo».

Il primo a parlare al collegio presieduto dalla giudice Mariarosa Pipponzi è stato il leader del M5S, difeso dall’avvocato Caterina Malavenda, che «ha risposto a tutte le domande», perché «oggi ha tutti i documenti che quando è stato sentito il 12 giugno 2020 non aveva». Il riferimento è all’incontro svoltosi all’epoca a Palazzo Chigi, quando a Roma arrivò la pm di Bergamo Maria Cristina Rota, che lo aveva ascoltato, assieme agli allora ministri dell’Interno Luciana Lamorgese e della Salute Speranza, come persone informate sui fatti sulla mancata istituzione delle zone rosse ad Alzano Lombardo e Nembro durante l’emergenza Coronavirus. All’epoca, ha spiegato Malavenda, Conte «non aveva, perché non lo aveva nemmeno la procura, il verbale del 2 di marzo (del Comitato tecnico scientifico, ndr)» e «la nota informale del 2 di marzo che è arrivata dopo il 12 di giugno». Alla pm di Bergamo, infatti, il leader del M5S aveva dichiarato di essere stato messo al corrente della situazione epidemiologica in Val Seriana solo dal 5 di marzo 2020. Sulla mancata istituzione della zona rossa, «non ha giustificato nulla» ma «ha raccontato quello che è successo, è stato esauriente».

Speranza ha invece depositato una memoria di 70 pagine, spiegando l’inutilità del piano pandemico del 2006 per affrontare il Covid. «Tutta la comunità scientifica lo considerava inefficace - hanno spiegato il professor Guido Calvi e l'avvocato Danilo Leva -, ma è stato poi fatto tutto il possibile e si è iniziato a programmare un nuovo piano. L'Italia, dopo la Cina, ha avuto il merito straordinario di avere preso dei provvedimenti sanitari. Perché non era stato aggiornato il piano del 2006? Non dovete chiederlo a noi, ma a chi c'era nei 13 anni precedenti». Tra gli argomenti oggetto dell’interrogatorio anche la raccomandazione del 5 gennaio dell'Oms sull'epidemia Covid, quando l’Organizzazione lanciò il primo allarme globale per l'adozione di misure concrete per una malattia respiratoria sconosciuta. Calvi ha puntato il dito contro Crisanti, che avrebbe fatto «un grave errore nella sua perizia inducendo a sbagliare anche i magistrati di Bergamo facendo intendere che la raccomandazione del 5 gennaio fosse vincolante. Solo il 31 gennaio l'Oms dichiara l'emergenza, con l'invito a utilizzare i piani pandemici influenzali che solo in quel momento diventa vincolante».