Il procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco, ascoltato questa settimana dalla Commissione giustizia del Senato nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle intercettazioni telefoniche, ha per la prima volta ammesso pubblicamente delle “criticità” negli ascolti effettuati nel 2019 nei confronti di Luca Palamara. In particolare, la società Rcs di Milano che aveva fornito il trojan inoculato dal Gico della guardia di finanza su ordine della Procura di Perugia nel cellulare dell'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati, indagato per corruzione, avrebbe violato le «disposizioni contrattuali». Rcs, sul punto, aveva allocato un server in un posto diverso, vale a dire il palazzo di giustizia di Napoli, da dove invece doveva essere.

La circostanza era stata inizialmente scoperta, a settembre del 2020, dal perito Fabio Milana, consulente di parte di Palamara, che aveva sottolineato come tale server avesse potuto “trattenere” dati in maniera non conforme a quanto previsto.

Turco, a distanza di quasi tre anni, starebbe allora valutando i «risvolti» penali di tale «violazione contrattuale» di Rcs ed inoltre «le ricadute» che ciò avrebbe comportato sulle intercettazioni, senza tuttavia considerare che Palamara nel frattempo è stato rimosso dalla magistratura e rinviato a giudizio in sede penale ed altri cinque consiglieri sono stati sanzionati dal Consiglio superiore della magistratura proprio per quelle intercettazioni. Alla domanda postagli dalla senatrice della Lega Erika Stefani e dal collega di Forza Italia Pierantonio Zanettin sugli sviluppi dell’indagine circa l'ormai famosa fuga di notizie del 29 maggio 2019, quando Corriere, Repubblica e Messaggero, con articoli fotocopia, pubblicarono le intercettazioni allora in corso a Perugia, Turco ha preferito non rispondere. Eppure il giudice per le indagini preliminari di Firenze Sara Farini, con un provvedimento del 27 gennaio 2021, quindi di oltre due anni fa, a proposito della divulgazione degli atti dell’indagine perugina del maggio del 2019, aveva affermato che «sussiste senza dubbio il fumus commissi delicti del reato in iscrizione, considerata la circostanza - non controversa alla luce della documentazione prodotta dal denunciante (Palamara, ndr) e dalla scansione temporale dei fatti riferita in querela - della pubblicazione su varie testate giornalistiche di notizie ancora coperte da segreto investigativo. Appare dunque configurabile la fattispecie di cui all'art. 326 c. p.: vi è stata una condotta di illecita rivelazione di dette notizie da parte di un pubblico ufficiale, allo stato non identificato, che, avvalendosi illegittimamente di notizie non comunicabili in quanto coperte dal segreto investigativo, riferibili ad atti depositati presso la Procura della Repubblica di Perugia, le ha indebitamente propalate all'esterno», aveva aggiunto la magistrata.

«Ad oggi - concludeva quindi il gip Farini - non risultano infatti compiuti atti di indagine volti quantomeno a circoscrivere la platea di soggetti che possono essere venuti in contatto con le notizie segrete indebitamente propalate all'esterno della Procura della Repubblica di Perugia».

A distanza di oltre due anni da quel provvedimento non si hanno, dunque, notizie sugli sviluppi investigativi, anche a fronte delle reiterare richieste dei legali di Palamara. Difficile, comunque, ci possano essere novità in futuro: le società telefoniche conservano i dati del traffico telefonico per solo due anni. L'attuale facente funzione della Procura di Firenze, negli ultimi mesi noto alle cronache per le “dispute” in udienza con Matteo Renzi nell’ambito dell’inchiesta Open, ha infine stigmatizzato il ruolo totalizzante e senza possibilità di controllo delle società private che forniscono agli uffici giudiziari le strumentazioni per effettuare le intercettazioni. A ciò si deve aggiungere, ha precisato Turco, l'assenza di professionalità all'interno dell'ufficio per un loro adeguato controllo.