RESA DEI CONTI NEL CARROCCIO

C’è la questione amministrative Verona e il sorpasso subito da Fratelli d’Italia in gran parte dei comuni al nord. C’è la guerra in Ucraina e c’è, infine, il grido d’allarme di molti esponenti locali, a partire da quelli veneti, che lamentano una Lega sempre più lontana dai bisogni della sua gente. Il nord in mano a Meloni, il tour di SuperMario a Kiev e i dissidi interni alla Lega Tutti i guai del Capitano

Salvini in difficoltà sui dossier più caldi E Giorgetti, Zaia e Fedriga non lo mollano

C’ è la questione amministrative Verona, con l’appoggio al sindaco uscente di Verona Federico Sboarina che non sta dando i frutti sperati e il sorpasso subito da Fratelli d’Italia in gran parte dei comuni al nord. C’è la guerra in Ucraina, con il viaggio di Draghi a Kiev che ha reso ancora più evidenti tutte le storture di quello che sarebbe dovuta essere la propria visita a Mosca. C’è, infine, il grido d’allarme di molti esponenti locali, a partire da quelli veneti, che lamentano una Lega sempre più lontana dai bisogni della sua gente, dove per sua s’intendono commercianti, produttori e imprenditori che da trent’anni ripongono fiducia in quella che una volta era la “Liga” e oggi è un partito che si chiama “Lega- Salvini premier”.

Sono tutti i dossier più caldi sulla scrivania dello stesso Matteo Salvini, che nelle prossime settimane dovrà cercare di ricucire che si è aperta ormai da tempo, e che sembra sempre più larga, tra la sua idea di partito e quella dei vari Giancarlo Giorgetti, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. Che fanno parte di una Lega saldamente ancorata al governo Draghi e che, chissà, vorrebbe l’ex presidente della Bce alla guida del paese anche dopo le Politiche del 2023. Se di nuovo da presidente del Consiglio o con un ruolo diverso, magari da “riserva della Repubblica”, si vedrà, certo è che quella fetta di partito tutto vuole tranne che l’incertezza derivante da una “non vittoria”. Come fu quella di Pierluigi Bersani nel 2013 e come potrebbe essere quella del centrodestra l’anno prossimo, se è vero che l’entrata in scena di un terzo polo a trazione calendian- renziana potrebbe portare via parecchi voti cosiddetti “moderati”. Gli stessi che invece il tridente Giorgetti- Zaia- Fedriga vorrebbe tenere stretti, sapendo che l’unica via per farlo è mettere un freno alle sparate del loro segretario.

In primis sulla politica internazionale, tanto che negli ultimi giorni ha perso via via terreno l’ipotesi di una risoluzione uguale e contraria a quella del governo, da presentare martedì in Parlamento quando Draghi riferirà prima del Consiglio europeo. Una mozione da costruire assieme al Movimento 5 Stelle, che in quanto a fibrillazioni interne in queste ore non è secondo a nessuno, ma che appare sempre più lontana dall’essere messa nero su bianco.

Perché dopo la sortita del presidente del Consiglio a Kiev, con tanto di abbraccio a Zelensky e okay da parte di Germania e Francia all’avvio del percorso di adesione dell’Ucraina all’Ue, la spinta sovranista di chi vorrebbe fermare l’invio di armi agli aggrediti si è affievolita. D’altronde, Draghi lo ha ribadito in maniera netta, spiegando che «l’Italia continuerà a essere al fianco dell’Ucraina fino a una pace che vada bene a Kiev».

Salvini ha accusato il colpo e si è rifugiato sulle questioni economiche, spiegando che per la Lega è «fondamentale» la conferma per tutta l’estate dello sconto di 25 centesimi su benzina e gasolio deciso dal governo e già prorogato una volta. «Ci aspettiamo un decreto entro giugno», ha sottolineato il numero uno del Carroccio da Palermo, dov’era ieri per il processo Open arms imputato per sequestro di persona.

Ma l’altra grana che il Capitano deve affrontare è quella tutta interna alla Lega e legata alla piccola ( per ora) rivoluzione rappresentata dal sorpasso di Fd’I in molti comuni del Nord. Con tanto di allarme rosso suonato dalle parti di Zaia e Fedriga e che potrebbe diventare ancora più grave se Damiano Tommasi, capace di unire l’intero centrosinistra e sfondare il 40 per cento dei voti al primo turno, vincesse il ballottaggio a Verona contro l’uscite Sboarina. Che invece a unire non ci pensa proprio, se è vero che ha rifiutato qualsiasi ipotesi di apparentamento con l’ex primo cittadini Flavio Tosi, ex leghista e appena approdato tra le braccia di Silvio Berlusconi.

Sboarina è uomo di Meloni ma soprattutto uomo di destra, e una sua sconfitta sarebbe pesate sia per la leader di Fratelli d’Italia che per lo stesso Salvini. Perdere una città come Verona, anche simbolicamente, sarebbe per la galassia sovranista uno smacco difficilmente digeribile, e per Salvini la dimostrazione che la ferita aperta dopo il Papeete non è in procinto di sanarsi.

E anzi sanguina ogni giorno di più.

MATTEO SALVINI INCONTRA IL NUOVO SINDACO DI PALERMO ROBERTO LAGALLA

GANCILUCIO GANCI