“Posso dire senza se e senza ma che il governo non ha nessuna intenzione di abrogare il reato di tortura”. Parola del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che risponde così a una interrogazione sulle modifiche normative relative ai reati di tortura e di istigazione alla tortura.

“Vi è soltanto un aspetto tecnico che deve essere rimodulato: il reato di tortura, così come è strutturato, ha delle carenze tecniche che devono connotare la struttura della norma penale – spiega il guardasigilli -. L'impossibilità di modificare e la volontà del governo di tener fermo il reato di tortura è determinata da una ragion pura e da una ragion pratica. La ragion pura è l'ottemperanza di quanto è stato stabilito dalle norme internazionali. La ragion pratica è una ragione di coerenza, è un reato odioso e abbiamo tutte le intenzioni di mantenerlo. Lo ha chi vi parla e lo ha il nostro governo”.
“A gennaio dissi che vi erano delle carenze tecniche e che mi sarei riservato di chiarirle. Il primo riguarda l'atteggiamento soggettivo del reato, in quanto la convenzione di New York circoscrive le condotte costituenti tortura a quelle caratterizzate da dolo specifico attuate per raggiungere le finalità di ottenere informazioni o confessioni, punire intimidire o discriminare. In altre parole, come tutti sanno, il dolo specifico, quando una condotta viene tenuta al fine di ottenere un risultato ulteriore, in questo caso è quello di ottenere la confessione. Il nostro legislatore invece optando per una figura criminosa contrassegnata dal dolo generico ha eliminato quello che è il tratto distintivo della tortura rispetto agli altri maltrattamenti, con il rischio di vedere applicata la disposizioni nei casi di sofferenze provocate durante operazioni lecite di ordine pubblico e polizia”, prosegue Nordio sottolineando come un “ulteriore rilievo critico è rappresentato dalla inopportuna fusione in un unica fattispecie del reato delle figure criminose di tortura e di trattamenti inumani e degradanti. Ricondurre due illeciti aventi una offensività diversa allo stesso trattamento sanzionatorio appare una scelta non ragionevole e non imposta dai vincoli internazionali”.