IL RETROSCENA

«Le regionali di ottobre potrebbero essere un buon banco di prova per l’alleanza», rivela un big di Italia viva

OBIETTIVO DI IV E AZIONE È FAR PROSEGUIRE DRAGHI A PALAZZO CHIGI

C’ è un aggettivo che rifuggono sia Carlo Calenda che Matteo Renzi, sia i principali esponenti di Azione che quelli di Italia viva. Quell’aggettivo è politicista, associato a termini come battaglia, polemica, dibattito. E intorno a quell’aggettivo se la daranno di santa ragione nelle prossime settimane i colonnelli dei due partiti, impegnati nella costruzione, al momento ancora poco concreta, di un fantomatico terzo polo, anche detto “area Draghi”. Che sembra un po’ il rifugio di chi vuole togliersi un attimo dalla giostra della politica «sangue e merda», come fosse un’area relax qualsiasi o un’area bambini dove lasciare i pargoli mentre ci si gode i trenta gradi e passa di Fregene.

«Non ci interessa la discussione politicista», incalza parlando con il Dubbio il presidente di Azione, Matteo Richetti. «La trappola politicista di chi dice no a tutto ha stufato», ribatte il responsabile giustizia di Iv, Gennaro Migliore.

Entrambi sanno che di politica politicante, e politicista, saranno piene le discussioni dentro i rispettivi partiti nei prossimi mesi, quando si cercherà di mettere nero su bianco un’alleanza capace di andare in doppia cifra alle Politiche, impedire la vittoria sia al centrodestra che al centrosinistra e spianare così la strada al Draghi bis. Ma andiamo con ordine.

Ieri il borsino dell’amicizia Renzi- Calenda ha avuto un rialzo alla notizia dell’assoluzione del padre di Maria Elena Boschi nel processo Banca Etruria. L’ex ministra ha reagito con una lettera sfogo affidata ai social e commentata dai maggiori esponenti del riformismo garantista. «Maria Elena è stata vittima di un linciaggio mediatico e giudiziario che non ha paragoni, ed è accaduto perché è una donna bella, tosta, preparata e intelligente: fine», ha scritto Calenda. Poco prima, era stato Renzi a scrivere che «molti avversari politici, ospiti dei talk e odiatori dovrebbero mettersi in fila e chiedere scusa ma non lo faranno». Ma quello che è sempre più chiaro, ha aggiunto l’ex presidente del Consiglio, «è che i mostri non eravamo noi».

Proprio dalla battaglia per una giustizia giusta può partire un dialogo che tuttavia appare già zoppo. «La proposta riformista di un terzo polo deve basarsi su garantismo, europeismo e atlantismo, e su questo ci siamo - spiega Migliore - ma vedo un certo imbarazzo in Calenda che continua a lavorare per dividere piuttosto che per unire». Sbam. La riposta, nemmeno troppo velata, arriva dallo stesso Richetti. «A L’Aquila, Parma e Palermo abbiamo ottenuto risultati importanti con candidati di valore - argomenta il parlamentare di Azione - Ebbene, nessuno di questi era sostenuto da Italia viva: Renzi dice che serve un papa straniero ma noi un leader serio e credibile ce l’abbiamo già e si chiama Carlo Calenda». Niente male.

Ma le stilettate tra alleati/ rivali continuano e se per Migliore «i partiti personali sono in caduta libera, basti pensare a Salvini e Conte», per Richetti «un conto è fare il leader di un governo di coalizione, come è Draghi, un altro è porsi alla guida di uno spazio politico che si presenta alle elezioni». Lasciando intendere che qualsiasi nome verrà tirato fuori dai renziani per guidare il terzo polo dovrà prima passare sul cadavere politico di Calenda. Eppure è stata proprio Maria Elena Boschi a definire ieri «doverosa» l’alleanza con Azione, spiegando al Corriere che «la pace non è solo possibile, ma necessaria» . Una pace che sta faticosamente cercando di mettere in piedi un big renziano che preferisce restare anonimo, per non bruciare il lavoro fatto fin qui. Che appare un po’ come quello di Penelope, che di notte disfaceva la tela che aveva tessuto durante il giorno. «I tempi per un’alleanza non sono ancora maturi - spiega la fonte - anche perché c’è di mezzo l’estate e l’estate, si sa, serve solo a riempiere le pagine dei giornali». O a fare accordi nel retrobottega di qualche trattoria romana, mentre il grosso del carrozzone politico è in vacanza nello stabilimento di Fregene di cui sopra. «Ma un punto di svolta potrebbero essere le elezioni regionali in Sicilia - continua - Se volessimo fare un esperimento tutti assieme, quello sarebbe un buon banco di prova». Già, la Sicilia, terra di laboratori politici e di vittorie esaltanti, dal 61 a zero del centrodestra nel 2001 al quasi 50 per cento ottenuto dal Movimento 5 Stelle alle Politiche del 2018. Il problema è che proprio in Sicilia, o meglio, a Palermo, si è consumato lo strappo sin qui più forte tra Renzi e Calenda.

In breve: prima si candida Davide Faraone, capogruppo renziano al Senato, pare con il sostegno di Azione. La quale poi vira su Fabrizio Ferrandelli, che non viene appoggiato da Italia viva. Non esattamente la premessa più esaltante per un accordo alle Regionali. «Calenda fa sempre così, prima dice una cosa poi ne fa un’altra - si lamenta ancora l’esponente di peso di Iv - ma a livello nazionale abbiamo entrambi lo stesso obiettivo: far proseguire Draghi alla guida del governo». Sì, ma come? «Non con una federazione», giurano da una parte». Magari con un’alleanza, allora. «Sì, ma sia chiaro che ognuno è capo a casa sua», ribattono dall’altra. Insomma, grande è la confusione sotto il cielo di Roma, anche perché al teatrino potrebbe unirsi anche la componente gelminian- carfagnana di Forza Italia che non ne può sia dell’alleato leghista che progetta viaggi a Mosca sia di quello più a destra che tuona in Andalusia contro «las burocratas de Bruxelas» . Ma nessuno mollerà Berlusconi, pronostica la nostra fonte, «come invece noi abbiamo fatto con il Pd, semplicemente perché Carfagna non è Renzi». Già, in fondo nessuno è come Renzi. O come Calenda, a seconda dei punti di vista.