Cinque anni fa, nel dicembre 2017, gli organi di stampa dedicarono ampio risalto al caso del giurista Francesco Bellomo. L’ex consigliere di Stato venne accusato di stalking e violenza privata ai danni di tre borsiste che frequentavano i corsi della scuola per magistrati “Diritto e scienza”. Bellomo fu sottoposto agli arresti domiciliari (si veda anche Il Dubbio del 30 settembre scorso).

Tutto ebbe origine da un’inchiesta della procura di Bari: dal capoluogo pugliese si volle far luce su alcuni aspetti dei corsi diretti da Bellomo, il quale era solito chiedere alle aspiranti magistrate, presenti alle sue lezioni, di rispettare un codice di comportamento ed un dress code.

Nel tritacarne mediatico finì pure il magistrato Davide Nalin, da qualche mese di nuovo in servizio presso la Procura di Venezia. Nalin è stato allievo di Bellomo. Le indagini e le accuse che l’hanno riguardato hanno provocato clamore mediato, indignazione, attenzione morbosa da parte di alcuni media. Sono state poi smontate pezzo per pezzo in tutte le sedi giudiziarie.

La vicenda giudiziaria di Davide Nalin è stata scandita da varie tappe. La prima di queste si è aperta davanti al Csm, dove su richiesta della procura generale della Corte di Cassazione il magistrato venne sospeso dallo stipendio e dalle funzioni. Contemporaneamente, il magistrato padovano venne accusato dalla procura della Repubblica di Piacenza per aver concorso con Bellomo nel reato di atti persecutori e lesioni psichiche dolose in danno di una ex borsista - un unicum, fanno sapere i suoi difensori, nella storia della giurisprudenza italiana - e dalla procura di Bari (il processo poco dopo è stato trasferito per incompetenza territoriale a Bergamo) per aver concorso nel reato di maltrattamenti in danno di altre quattro ex borsiste.

In tutte le vicende giudiziarie, comprese quelle più intricate e dolorose, viene scritta sempre la parola fine. Non fa eccezione quella che ha riguardato Nalin, sempre assolto con formula piena dalle accuse con sentenze passate in giudicato.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 36994 del 2022, hanno confermato la sentenza di proscioglimento della sezione disciplinare del Csm del febbraio 2022. I giudici di piazza Cavour hanno chiarito che a carico di Nalin non vi è nessun addebito. Ma, soprattutto, il famoso contratto che veniva presentato all’inizio dei corsi della scuola Bellomo non conteneva alcuna pattuizione illecita, era stato liberamente sottoscritto dalle borsiste, e il “timore reverenziale” che alcune di loro adducevano non poteva essere ricondotto ad un abuso della qualità di magistrato.

Le Sezioni Unite si sono spinte oltre, pronunciandosi sull’altro addebito mosso: quello riguardante la partecipazione alla gestione di una scuola privata, attività non consentita ai magistrati ordinari, diversamente da quanto è previsto per i magistrati amministrativi. La Cassazione ha annullato la sanzione comminata originariamente dal Consiglio superiore della magistratura (sei mesi di sospensione dalle funzioni). Palazzo dei Marescialli dovrà pronunciarsi in diversa composizione.

Nalin adesso cerca di voltare pagina. «A distanza di cinque anni dall’inizio di questa vicenda – dice al Dubbio - che mi ha travolto, devastando la mia vita personale e professionale e quella della mia famiglia, la pronuncia delle Sezioni Unite torna a farmi vedere la luce. La sofferenza, i costi, in termini anche umani, sono incalcolabili, ma non ho mai smesso di credere in quelle “verità e giustizia” su cui ho giurato solennemente il giorno in cui entrai in magistratura».

Il magistrato fa i conti con un grande rammarico ed una assenza importante. «La sentenza, emessa il 25 ottobre scorso - commenta amareggiato -, è stata pubblicata, seppur nei termini di legge, solo la scorsa settimana, due giorni dopo la scomparsa di mio padre. Saperne l’esito, avrebbe sollevato la sua pena di questi ultimi anni, in cui ha sempre combattuto accanto a me, accompagnandomi a tutti i concorsi che abbiamo vinto assieme e a tutti i processi. Dedico a lui questo e tutte le conquiste che verranno».

Davide Nalin non perde la fiducia nella giustizia. «Il mio approccio – aggiunge - non è tecnicamente cambiato, perché l’applicazione del diritto deve prescindere dalle vicissitudini personali del magistrato. Posso, però, dire che dietro un fascicolo ho sempre visto un essere umano e che, oggi, ancor più, so quanto sia fondamentale non lasciarsi influenzare dal pregiudizio e dal clamore dei processi mediatici, che possono compromettere la neutralità del giudizio e hanno effetti devastanti sulla vita di una persona, sulla sua dignità, fino a decretarne la morte civile e sociale. La gogna mediatica è una pena che non conosce appello».