I risultati ufficiali saranno noti solo domenica sera, quando tutti gli altri paesi europei avranno votato, ma tutti gli exit poll sul voto in Olanda indicano il flop dell’estrema destra (Pvv) di Geert Wilders che non conferma i consensi delle ultime politiche. Alla sua formazione andrebbero 7 seggi, contro gli 8 della coalizione Sinistra Verde-Partito del Lavoro (PvdA/GL), guidata dall’ex vicepresidente esecutivo della Commissione europea Frans Timmermans, a sorpresa in testa alle rilevazioni.

In lieve crescita l’affluenza, che a un’ora dalla chiusura dei seggi avrebbe registrato un 37%, contro il 34% del 2019. «È necessario avere una forte presenza nel Parlamento europeo e assicurarsi che, se necessario, saremo in grado di cambiare le linee guida europee per essere responsabili della nostra politica di immigrazione e di asilo», ha comunque dichiarato Wilders dopo avere votato all’Aia. Di certo il voto olandese al Consiglio europeo si farà notare questa volta: se per il 27 giugno si sarà insediato il nuovo premier Dick Schoof, espressione della nuova coalizione di centro-destra, sarà un voto in più nel campo delle destre e uno in meno per i liberali rappresentati per anni da Mark Rutte. Il voto è stato segnato da diversi attacchi hacker: i siti web di diversi partiti politici sono staticolpiti e l’azione è stata rivendicata da gruppi filorussi. Da Hacknet ma anche dal collettivo di hacker filorussi riunito sotto il nome di NoName057 ha annunciato un attacco alle infrastrutture internet in Europa in concomitanza con l’inizio delle votazioni che sono già iniziate in Olanda.

Prima ancora del verdetto delle urne, a Bruxelles e nelle capitali sono iniziati i ragionamenti sulle nomine agli apici delle istituzioni Ue.

A una settimana dallo spoglio i leader Ue si vedranno per una cena informale il 17 giugno a Bruxelles. Già lì dovrebbe essere almeno chiaro lo schema da seguire al Consiglio europeo del 27 e 28 giugno. Si parte dal piano A: il Ppe vince le elezioni e indica Ursula von der Leyen per un secondo mandato, ipotesi caldeggiata dalla Germania, che vuole la presidenza della Commissione a ogni costo, anche se di altro colore politico rispetto al governo di Berlino. L’alternativa, un commissario di peso ai Verdi, come prevista dall’accordo di coalizione di governo, non è nemmeno presa in considerazione. Al Consiglio il primo nome sul tavolo è quello del socialista Antonio Costa, stimato da tutti dai tempi della presidenza di turno portoghese del 2021. Mentre quello di Enrico Letta non è un nome per ora preso in considerazione.

Ai liberali andrebbe il posto di Alto rappresentante per la politica estera: la premier estone Kaja Kallas è vista come troppo estrema e troppo coinvolta nella campagna di difesa a Kiev. Il presidente del Consiglio europeo uscente, il belga Charles Michel, non è ben voluto dal resto dei leader. Anche la sua ultima uscita con i media per scoraggiare un bis di von der Leyen, invocando una Commissione più imparziale e meno politicizzata, non è piaciuta ai più. Voci di corridoio parlano persino di un tentativo per spostare l’elezione del presidente della commissione a settembre in modo da affievolire la candidatura della leader tedesca.

Non sembra che l’ex premier belga abbia un futuro nelle istituzioni Ue. L’ipotesi Mario Draghi alla guida della Commissione per alcuni è solo una voce fatta circolare dal presidente francese Emmanuel Macron per mettere pressione su von der Leyen, il Ppe e i tedeschi, avvertendoli di non dare nulla per scontato. Draghi toglierebbe un posto ai popolari - e di conseguenza agli altri partiti - e anche se venisse proposto dai leader nel Consiglio europeo dovrebbe superare lo scoglio del voto del Parlamento europeo, ovvero i partiti dovrebbero rinunciare al loro peso politico. Dopo il voto si dovrà fare i conti anche con la questione Viktor Orban.

Il 1° luglio dovrebbe iniziare la presidenza di turno del Consiglio Ue dell’Ungheria. Sono sempre più pressanti le richieste agli Stati e alla Commissione di evitare di paralizzare l’Unione per sei mesi. Il governo di Budapest potrebbe svolgere il ruolo di ’onesto mediatorè ma non tutti si fidano.

Anche perché l’ultimo sì al bilancio pluriennale con i fondi a Kiev nel Consiglio europeo del 1° febbraio è stato dato da Orban senza incassare nulla in cambio.

A dicembre scadranno anche i fondi coesione che si è visto congelare e la nuova Commissione dovrà decidere. A detta di alcuni si farebbe ancora in tempo a togliere la presidenza agli ungheresi. Un’opzione è decidere con una maggioranza super qualificata il cambio dell’ordine dei Paesi destinati a detenere la presidenza. In tal caso il diritto dell’Ungheria a detenere la presidenza sarebbe rinviato ad altra data, quando sarà rientrata nell’ambito delle norme vincolanti dell’Ue. Escluderla dal Consiglio europeo negandole il diritto di voto con la procedura dell’articolo 7, invece, viene vista da molti come l’arma nucleare da usare solo in ultima istanza.