Via libera all’unanimità: 253 voti favorevoli su 253 deputati presenti. Si è conclusa con un esito rassicurante, stamattina nell’aula di Montecitorio, la prima lettura della proposta di legge su “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali” (AC 338), un provvedimento lungamente atteso dal mondo dei professionisti ordinistici. Non resta che attendere l’approvazione di Palazzo Madama per l’adozione definitiva della legge, sempre che il Senato non apporti modifiche: in caso contrario, sarà necessaria una terza lettura alla Camera.
L’ok alle nuove misure è giunto dopo una giornata intensa, che ha visto prima la votazione su 9 ordini del giorno, proposti dai parlamentari del Movimento 5 Stelle Stefania Ascari, Federico Cafiero de Raho, Enrica Alifano, Carla Giuliano, Valentina D’Orso, dalla deputata di Azione Valentina Grippo e infine dai parlamentari dem Alessandro Zan, Federico Gianassi e Chiara Gribaudo.

Equo compenso, il plauso dell’avvocatura 

A esprimere «soddisfazione» per l’ok di Montecitorio al testo è innanzitutto il Consiglio nazionale forense, promotore del primo provvedimento sull’equo compenso nel 2017: la massima istituzione dell’avvocatura «ringrazia tutte le forze parlamentari che si sono impegnate per l’approvazione da parte della Camera, e auspica che il testo, presupposto indispensabile per l’attuazione del Pnrr, venga approvato velocemente anche dal Senato». La presidente del Cnf Maria Masi ricorda come si tratti di una «legge di civiltà» che «mette un freno ai comportamenti elusivi e prevaricatori dei clienti forti nei confronti dei professionisti, a fronte della qualità e quantità delle prestazioni richieste. Anche se, in numerose occasioni, l’avvocatura ha sostenuto che il testo approvato dall’aula di Montecitorio è ancora migliorabile, occorre ricordare», aggiunge Masi, «che questa legge ha il pregio di correggere le criticità della normativa attuale e di ristabilire il principio fondamentale di una norma che dia completa e concreta attuazione all’articolo 36 della Costituzione, in base al quale senza un’equa e giusta retribuzione non c’è dignità per chi lavora».
L’Organismo congressuale forense tiene a propria volta a ricordare la perfetta coincidenza fra il testo base Meloni-Morrone, le proposte di Mulè e Costa e l’articolato 2491 che nella scorsa legislatura era giunto a un passo dall’approvazione definitiva. Nella propria nota, Ocf ribadisce dunque «la propria complessiva valutazione positiva» delle misure appena licenziate alla Camera. Nonostante sia «perfettibile in alcuni suoi aspetti», quali «la platea dei soggetti destinatari» o «il bilanciamento delle necessarie sanzioni deontologiche, con funzione antidumping, per i professionisti che non ne dovessero rispettare le disposizioni», Ocf ritiene «essenziale giungere senza indugi all’approvazione della legge così come è formulata e quindi procedere senza emendamenti nel passaggio al Senato, non solo perché largamente condivisa dai gruppi parlamentari e quindi per non vanificare l’attuale clima politico» ma anche per non correre il rischio di «fare il gioco dei gruppi di committenti, banche, assicurazioni e Pa che, grazie allo status quo, possono continuare a comprimere il valore economico dei servizi professionali». Un’urgenza condivisa anche da Aiga, che, con il presidente Francesco Paolo Perchinunno, rivendica di considerare «la tutela delle funzioni dell’avvocato, il rispetto per la dignità ed il decoro della professione» al centro delle proprie iniziative». L’associazione confida che le nuove norme possano mettere al riparo i «professionisti più giovani» da «accordi svantaggiosi a cui ancora troppo spesso si trovano a dovere sottostare».

Il dibattito in aula 


Riguardo all’esame di oggi a Montecitorio, va segnalato il parere favorevole del governo, espresso dal viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, su tutti e 9 gli ordini del giorno, ma in modo circostanziato e condizionato, impegnandosi, una volta che la legge sull’equo compenso sarà in vigore, a monitorare la sua attuazione, e a valutare interventi, nel caso ne emergesse l’opportunità, anche con norme modificative, per far fronte alle preoccupazioni espresse da alcuni deputati in merito al ristretto ambito di applicazione della legge, sia per quanto riguarda la tipologia di committenti ai quali si applicano le nuove disposizioni sull’equo compenso, per ora sostanzialmente medie e grandi imprese, oltre alle Pa, sia per quanto concerne l’esclusione dalle tutele per i professionisti non ordinistici, e soprattutto per il meccanismo sanzionatorio previsto a carico dei professionisti che dovessero essere sorpresi ad accettare compensi iniqui, in quanto inferiori, di fatto, ai parametri tariffari.
I 9 ordini del giorno sono stati approvati all’unanimità dei deputati presenti in aula (salvo quello della deputata di Azione Valentina Grippo, che ha visto 223 sì su 262 votanti). Dopodiché si è passati alle dichiarazioni di voto che, pur partendo da presupposti diversi, e non risparmiando in qualche caso rilievi critici sul provvedimento, hanno espresso comunque tutti l’intenzione di votare il testo iniziale, rinunciando a insistere sugli emendamenti. La prima a esprimersi è stata Ilaria Cavo (Noi Moderati), secondo cui le nuove norme costituiscono in ogni caso «un miglioramento» rispetto alla disciplina attualmente in vigore. L’ha seguita Devis Dori (Verdi e Sinistra), che ha sottolineato come le critiche mosse dal proprio gruppo all’AC 338 fossero, di fatto, condivise dal viceministro Sisto, avendole lui stesso esternate «in una recente intervista a un quotidiano» (cioè al Dubbio, a firma di chi scrive, ndr): ma anche Dori ha condiviso l’urgenza di un intervento. Il deputato di FI Tommaso Calderone, dopo aver ringraziato le due relatrici Carolina Varchi (FdI) e Ingrid Bisa (Lega) e il viceministro Sisto, ha lamentato che le ragioni di questo provvedimento, ossia la «sottovalutazione del valore delle prestazioni professionali», sono anche «il frutto di una cultura che ha declassato il lavoro dei professionisti, pur essendo già vigenti norme, come l’articolo 2233 del codice civile, in cui si prevede che “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”».
Valentina D’Orso (M5S), al netto degli elementi di debolezza della norma, come la contraddizione tra la previsione sanzionatoria e la possibilità di ricorrere alla giustizia per farsi riconoscere un compenso equo (nonostante l’accordo per una remunerazione iniqua), viene salutata come misura che conferisce dignità e libertà a una categoria di lavoratori, economicamente meno garantiti rispetto a quelli subordinati.
Ha poi parlato Jacopo Morrone, della Lega, cofirmatario del testo insieme con la premier Giorgia Meloni, il quale ha individuato nel processo di liberalizzazione, e in particolare in un provvedimento del governo Monti, che ha abrogato il sistema tariffario, l’origine dei problemi che l’AC 338 cerca di risolvere.
Dichiarazione di voto favorevole anche da parte della dem Chiara Gribaudo, che non ha però trascurato di sottolineare i punti di debolezza dell’attuale testo, lamentando quindi l’occasione mancata per risolvere alcune questioni, come la limitatezza dell’ambito applicativo della disciplina per quanto riguarda i committenti (stimati in circa l’1% delle imprese italiane), concludendo con l’auspicio che si potrà intervenire in futuro per migliorarla. L’ultimo intervento è stato quello della relatrice Varchi, che ha parlato a nome di Fratelli d’Italia, e ha espresso «soddisfazione» per questa norma, che offre una prima tutela a quei lavoratori, come i professionisti, che finora, a differenza dei dipendenti, non l’hanno mai avuta, e che l’hanno dovuta cercare giorno per giorno. A conclusione del suo invito a votare favorevolmente, ha ricordato che il proprio partito rimane aperto al dialogo su questo tema, nel caso in cui gli effetti applicativi della nuova disciplina sull’equo compenso dovessero far emergere la necessità di interventi migliorativi.