Il decreto legislativo n. 150 del 2022 - attuativo della riforma Cartabia in materia penale - non ha violato la legge delega nel disciplinare le modalità esecutive della nuova pena sostitutiva della detenzione domiciliare. Lo ha stabilito la Corte costituzionale in una sentenza depositata oggi, con la quale ha dichiarato in parte inammissibili e in parte infondate una serie di questioni sollevate dalla Corte d'appello di Bologna.

Rispetto all'unica questione valutata nel merito, la Corte ha sottolineato che la riforma del 2022 «mira a rivitalizzare» le pene sostitutive delle detenzioni di breve durata, i cui «effetti desocializzanti sono da tempo noti, specie nel contesto di significativo sovraffollamento in cui, nuovamente, versano le carceri italiane», rileva Palazzo della Consulta.

La Corte ha evidenziato che le «pene sostitutive sono ispirate al principio secondo cui il sacrificio della libertà personale va contenuto entro il minimo necessario», oltre che alla necessaria finalità rieducativa della pena sancita dall'articolo 27 della Costituzione.

Inoltre, secondo i giudici costituzionali, la loro previsione «incentiva l'imputato a definire il processo con un rito semplificato, e in particolare con il patteggiamento: il che contribuisce ad alleggerire i carichi del sistema penale, in funzione dell'obiettivo di assicurare a tutti tempi più contenuti di definizione dei processi».

Infine, le pene sostitutive garantiscono «risposte certe, rapide ed effettive» al reato, ancorché alternative al carcere, dal momento che sono immediatamente esecutive non appena la sentenza di condanna passa in giudicato; e ciò - osserva Palazzo della Consulta - a «differenza di quanto accade rispetto alle pene detentive di durata non superiore a quattro anni, che restano di regola sospese anche per vari anni, sino a che il tribunale di sorveglianza non decida sulla richiesta del condannato di essere ammesso a una misura alternativa alla detenzione. Con la conseguenza che circa novantamila persone in Italia sono oggi 'liberi sospesi': e cioè condannati in via definitiva, che però non sono sottoposti allo stato ad alcuna misura restrittiva, in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza».

Secondo la Corte, la disciplina della pena sostitutiva della detenzione domiciliare risponde a questi "obiettivi generali" della legge delega, che prescriveva al Governo di mutuare la disciplina prevista, in fase esecutiva, per l'omonima misura alternativa della detenzione domiciliare, ma soltanto «in quanto compatibile» con tali obiettivi.

In particolare, la previsione, da parte del legislatore della riforma, di un più favorevole regime del limite minimo di permanenza nel domicilio, così come di un'ampia possibilità di uscire dal domicilio stesso in relazione a «comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale di lavoro o di salute», è «coerente - ha osservato la Corte - con la spiccata funzionalità rieducativa di questa pena sostitutiva», che prevede uno specifico programma di trattamento elaborato dall'Ufficio di esecuzione penale esterna, che prende in carico il condannato. Ciò, conclude la Consulta, appare «conforme all'idea, che è alla base della riforma», di una “pena-programma” caratterizzata da elasticità nei contenuti, perché «funzionale alla individualizzazione del trattamento sanzionatorio, in modo da garantire la risocializzazione del condannato e, assieme, una più efficace tutela della collettività».