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ARMANDO SPATARO
«Sì che serve, la collaborazione. È preziosa, e credo molto nell’idea che una maggiore condivisione, nell’autogoverno, fra magistratura e avvocatura possa consentire anche una difesa della giustizia più efficace. Nel senso di poterne tutelare l’autonomia da eventuali sconfinamenti della politica. In nome di tale scenario condiviso, trovo giusta la norma che prevede la possibilità per l’avvocatura, nei Consigli giudiziari, di partecipare alle valutazioni della professionalità dei magistrati. Vorrei solo che l’apertura fosse reciproca. Che anche ai magistrati fosse consentito di partecipare ad alcune delle decisioni delle istituzioni forensi, innanzitutto sulla formazione, che deve essere in gran parte comune».
Armando Spataro è una figura chiave nell’ordine: della magistratura inquirente ( da ultimo come procuratore di Torino), dell’autogoverno della magistratura ( ha fatto parte del Csm) e dell’associazionismo giudiziario ( è stato ai vertici dell’Anm e leader della corrente “Movimento per la giustizia”). Soprattutto, Spataro va annoverato, con Bruti Liberati e Pignatone, in una ristrettissima élite di pm che hanno diretto le più importanti Procure d’Italia negli ultimi anni. Ed è, come gli altri due magistrati in questione, più aperto, di quanto non sia l’attuale Anm, alla riforma che riconosce agli avvocati il diritto di votare sulle “promozioni” dei magistrati, contenuta nella riforma del Csm. Ma lo è in una prospettiva di schietta reciprocità, appunto, con l’avvocatura.
Intanto, lei è d’accordo sull’idea di un governo della giustizia condiviso fra magistrati e avvocati e, nello specifico, sul voto del Foro nei Consigli giudiziari?
Sono d’accordo perché sono convinto che la giustizia vada difesa insieme. Ricordo che le richieste avanzate negli anni scorsi dall’avvocatura istituzionale, e innanzitutto dal Cnf già col presidente Mascherin, guardavano proprio a una difesa comune della giustizia nella sua autonomia anche rispetto ai condizionamenti della politica. Ma mi pare che la prospettiva richieda una volta per tutte reciprocità effettiva.
Cosa intende dire?
Che non è comprensibile, per esempio, una richiesta di partecipazione piena degli avvocati ai Consigli giudiziari in costanza di un attacco continuo di molti tra loro, e in particolare dell’Unione Camere penali, al presunto strapotere dei pm. Non c’è alcuno strapotere. Certamente esiste l’esercizio di un potere molto incisivo, qual è quello di richiedere misure cautelari. Ma siamo parti del processo, e soprattutto il nostro sistema di intercambiabilità fra le funzioni requirenti e giudicanti è apprezzato in tutta Europa, in formali risoluzioni, proprio perché permette passerelle tra le une e le altre. Lì dove la magistratura requirente è separata dai giudici, è anche assoggettata al controllo dell’esecutivo, tranne che in Portogallo. Non mi pare una prospettiva auspicabile, e vedo come anche il professor Coppi si sia dichiarato contrario alla separazione delle carriere in nome delle maggiori garanzie per i cittadini che l’attuale sistema consente...
Ma troppo spesso i gip, per esempio, sembrano appiattiti sulle scelte dei pm: non è così?
Senta, non è possibile considerare singoli casi come emblematici di comportamenti dell’intera magistratura. Certo che possono esserci specifiche criticità nelle valutazioni dei giudici. Ma quei casi riguardano l’intera magistratura giudicante? Non credo proprio. E poi la frequente convergenza riscontrabile fra gip e pm potrebbe spiegarsi in modo rovesciato.
Com’è possibile?
La quasi totalità dei giuristi sostiene che è meglio se il pm condivide col giudice la cultura della giurisdizione, e quindi chiedo: davvero si può escludere che gip e pm si trovino spesso d’accordo non perché il giudice è appiattito sull’inquirente ma perché l’inquirente è spesso in grado di condividere quella cultura?
Torniamo al no dell’Anm sui Consigli giudiziari: insistono nel prefigurare un uso “vendicativo” delle valutazioni sui magistrati.
Io chiedo ai colleghi di affrancarsi da timori del genere. Di convincersi che è importante, per la magistratura, accettare una graduazione nei giudizi, come previsto dalla riforma. Non è pensabile che dal sistema delle valutazioni esca un risultato in cui tutti i giudici e tutti i pm risultano bravi alla stessa maniera. Non va bene anche in vista degli incarichi direttivi. E aggiungo, sempre rivolto ai colleghi, l’invito a considerare utile il contributo valutativo dell’avvocatura. A maggior ragione visto che la norma, come formulata nell’emendamento governativo, supera con due soluzioni efficaci il rischio di soggettivizzare le scelte del Foro nei Consigli giudiziari.
Si riferisce alla modifica prevista dal maxiemendamento Cartabia?
Sì, una revisione dell’articolato che è stata oggetto nei giorni scorsi di una mia audizione in commissione Giustizia alla Camera, e che nel complesso mi pare apprezzabile. Nello specifico, la norma che riconosce agli avvocati il diritto di partecipare alle deliberazioni in merito alle valutazioni di professionalità dei magistrati prevede due condizioni. La prima è che quel diritto di voto sia possibile purché il Consiglio dell’Ordine forense abbia esercitato la propria prerogativa di inviare segnalazioni, su quel magistrato, al Consiglio giudiziario. La seconda è che il voto di tutti gli avvocati che fanno parte dell’organismo debba essere unitario. Così si evita in modo efficace il rischio, esageratamente paventato, che il singolo avvocato possa essere orientato nel voto in base a ragioni di precedenti contrasti in un processo con pm o giudici. Lo ripeto ancora una volta: sono stato avvocato, prima del concorso in magistratura, mio figlio era avvocato, e ho un rispetto evidentemente profondo per la funzione del difensore. Sono convinto che la collaborazione con l’avvocatura possa essere una strada utile per il futuro della giustizia. Ma come può avvenire questo, se l’avvocatura continua a radicalizzarsi in certe posizioni?
Non le sembra che il dialogo costruito in questi anni fra istituzioni forensi e magistratura confermi già lo spirito di cui lei parla?
Io da procuratore di Torino ho tenuto solo tre conferenze stampa, e una di queste era congiunta con l’Ordine degli avvocati. Ho sempre ascoltato e richiesto le osservazioni avanzate dai presidenti del Coa in materia organizzativa. Ma vogliamo parlare del referendum?
Cosa non le piace, della linea assunta sul referendum dagli avvocati?
Mi aspetterei una posizione apertamente contraria al quesito sulla separazione delle funzioni che, concepito in quella forma, porta in realtà a scindere definitivamente le carriere. Ma mi sarei aspettato meno passività dell’avvocatura, a essere sincero, anche sul cosiddetto sorteggio per la formazione del Csm. Una ipotesi incostituzionale e offensiva, che temo sarà riproposta a breve da varie forze politiche con altri emendamenti.
La riforma del Csm è efficace nel rimediare alle distorsioni sperimentate di recente?
Nel complesso mi sembra di sì. Riguardo ai dettagli, ho fatto numerose osservazioni a Montecitorio, ma ribadisco il giudizio positivo sulle valutazioni di professionalità, inclusa l’articolazione graduata del giudizio. Apprezzo molto il presidente dell’Anm Santalucia, conosco la serietà delle sue analisi, ma non credo sia da temere quell’ansia competitiva che lui intravede come conseguenza delle valutazioni graduate. Sono soddisfatto che sia scomparso il sorteggio anche nella formazione delle commissioni interne al Csm, condivido le novità sul disciplinare, trovo il sistema elettorale certamente complesso ma nell’insieme abbastanza equilibrato.
Possiamo dire che dietro Palamara c’era una tendenza generale all’autoreferenzialità, e che insomma non era lui l’unico problema?
Io continuo a rifiutarmi di esprimere considerazioni sul caso Palamara. Se non fosse per la seguente osservazione di carattere generale: ci sono quasi 10mila magistrati, in Italia, e davvero pensiamo che il comportamento di 20 persone o poco più su 10mila attesti una distorsione presente in tutta la magistratura? Davvero credete che dietro ogni contatto di un magistrato con un togato Csm ci sia l’illecito? Come si fa, a proposito del rapporto fra giudici e pm, quando i primi accolgono le tesi dei secondi, a sostenere che ciò derivi da un appiattimento culturale dei giudici sul ruolo dei pm? Borrelli, me lo consenta, parlava in proposito di “diffidenze plebee”! Mi piacerebbe che anche su questo si costruisse una nuova fase di verità sulla magistratura e sulla giustizia, e anche un più solido rapporto con gli avvocati, i quali dovrebbero interrogarsi sulle criticità che anche al loro interno spesso si manifestano. Abbiamo bisogno di collaborare, di camminare insieme. Ma devono farlo sul serio tutte e due le parti.
«GLI AVVOCATI DICANO NO AL REFERENDUM SULLE CARRIERE»
«DALL’AVVOCATURA CHE LEGITTIMAMENTE CHIEDE UNA COLLABORAZIONE CON NOI MAGISTRATI IN DIFESA DELLA GIUSTIZIA, MI ASPETTEREI L’APERTURA A UN NOSTRO CONTRIBUTO, PER ESEMPIO, NELLE SCELTE DEI COA SULLA FORMAZIONE. E ANCHE UN NO CONVINTO AL REFERENDUM CHE MIRA A SEPARARE LE FUNZIONI, E CHE COLPIREBBE UN MODELLO AMMIRATO IN TUTTA EUROPA»