Ora sono tutti assolti, ma l’avevano chiamata “Piazza pulita”, l’operazione che nel 2019 aveva mandato a casa la giunta di centro-destra a Legnano, la città simbolo di Alberto da Giussano e della Lega. Ma il sindaco Giambattista Fratus, il suo vice Maurizio Cozzi e l’assessore Chiara Lazzarini hanno dovuto aspettare cinque anni e la sentenza d’appello per essere assolti con formula piena.

Una nuova e opposta “piazza pulita” ha spazzato via l’inchiesta della procura di Busto Arsizio, le manette (carcere per Cozzi, domiciliari per Fratus e Lazzarini), e poi il rinvio a giudizio e le condanne al processo di primo grado. Con tutto lo schema che consegue a tutte le inchieste per reati contro la pubblica amministrazione. La sciabolata della legge Severino che decapita la giunta con le sospensioni, poi le dimissioni di sindaco e assessori, poi il commissariamento, infine nuove elezioni e inevitabile vittoria della parte politica avversa.

È accaduto un po’ in tutta Italia, a scapito della sinistra per esempio in Umbria e Calabria, a svantaggio del centro-destra in tanti altri casi. Quello di Legnano è stato un caso particolarmente significativo. Perché l’inchiesta era stata presentata addirittura con una conferenza stampa, perché colpiva al cuore la città simbolo della Lega, e perché, accusando sindaco, vice sindaco e assessore di essersi fatti corrompere e di aver truccato gare d’appalto, offriva su un piatto d’argento ai partiti di opposizione la possibilità di presentarsi con le mani pulite, secondo la simbologia dei pubblici ministeri milanesi del 1992 e degli “imitatori” di Busto Arsizio del 2019.

C’è voluta la corte d’Appello di Milano, altra aria, lontana dal luogo dove tutto era iniziato, e addirittura una richiesta di assoluzione da parte della pg Rosanna Perna, perché si spazzasse via tutto. E soprattutto si approfondisse una certa giurisprudenza della Cassazione sull’affidamento di incarichi, che la procura di Busto, e dietro di lei un giudice monocratico e poi un tribunale volevano interpretare con le regole della gara. Ma non c’è gara, ha detto più volte la corte suprema, laddove non esistono graduatorie né punteggi.

Sembrano questioni di “cavilli”, ma non è così. E resta il fatto che per quell’interpretazione della norma alcune persone hanno scontato il carcere ingiusto e la solita perdita di reputazione. Ma c’è anche il fatto che i cittadini di Legnano (60 mila abitanti, non un piccolo Comune) hanno visto buttato al vento il loro voto e in seguito le urne hanno punito gli innocenti. Mentre gli esponenti locali del Movimento cinque stelle si vantavano di aver dato origine all’inchiesta della magistratura tramite un esposto anonimo, in cui denunciavano l’esistenza di un comitato d’affari che si sarebbe impadronito del Comune. Al vertice di questa “cricca” sarebbero stati il sindaco leghista Gianbattista Fratus, il suo predecessore poi diventato vice Maurizio Cozzi e l’assessore Chiara Lazzarini, ambedue di Forza Italia.

Casi simili sono accaduti in altri centri lombardi negli anni passati, per esempio a Seregno, città di 45 mila abitanti dove il sindaco di Forza Italia Edoardo Mazza, arrestato nel 2017, è stato assolto a Monza, dopo quasi cinque anni, dall’accusa di abuso d’ufficio. Anche qui solita trafila, caduta della Giunta e commissariamento e poi ribaltamento politico alle successive elezioni. Proprio come a Sedriano, il primo Comune lombardo a essere sciolto per infiltrazione mafiosa nel 2013. E anche il primo dove, in seguito a un’inchiesta giudiziaria, il ribaltamento politico ha portato al governo della città il Movimento Cinque stelle.

A partire dal 2009, dopo la vittoria del Popolo delle libertà, esponenti dei partiti di sinistra e del Movimento cinque stelle avevano iniziato a chiedere le dimissioni del sindaco, un docente di religione di nome Alfredo Celeste. Persona mite e per bene, molto stimata. In questo caso, così come in parte era accaduto a Seregno, le denunce avevano issato la bandiera dell’antimafia, tanto da portare allo scioglimento del piccolo Comune (circa 12 mila abitanti) nel 2013, ministro dell’Interno Angelino Alfano. Il sindaco Celeste era sospettato di essersi fatto corrompere dalla ‘ndrangheta. C’era in zona anche una giovane cronista di un settimanale locale, molto attiva in organizzazione di fiaccolate, che aveva denunciato di esser stata minacciata dalle mafie locali. Fu smascherata dal Fatto, che pure la difendeva a valorizzava. Comunque anche qui la solita trafila, “inchiesta penale-scioglimento-commissariamento-elezioni-ribaltamento”, mandò a casa il sindaco e la sua Giunta con l’accusa infamante di essersi fatto corrompere dai mafiosi.

Che cosa è poi successo nel 2017, quando ormai il Comune era governato dai grillini? Non solo che il sindaco è stato assolto «perché il fatto non sussiste», quindi non c’era la corruzione mafiosa. Ma anche che la procura non ha presentato ricorso in Appello. Tutto finito. Abbiamo parlato di tre casi lombardi. Quanti ce ne sono stati in questi anni nelle altre diciannove regioni italiane? Sarà sufficiente l’abolizione del reato di abuso d’ufficio? Beh, intanto cominciamo.