Il premier prova a stemperare la crisi Poi il messaggio a Conte: con me niente bis

Non sembra avere l’aria di uno pronto a fare le valigie e ritirarsi nella sua villa di Città della Pieve, Mario Draghi, quando si affaccia in conferenza stampa dopo l’incontro con i sindacati, accompagnato dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, e da quello dello Sviluppo economico, Giancarlo, Giorgetti. E anzi rilancia, mette sul piatto l’ipotesi di un salario minimo e lo sblocco dei contratti collettivi fermi da troppo tempo, e così facendo viene incontro ad alcune delle richieste messe nero su bianco qualche giorno fa dal leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte. SUL PIATTO SALARIO MINIMO E NUOVI CONTRATTI

Non sembra avere l’aria di uno pronto a fare le valigie e ritirarsi nella sua villa di Città della Pieve, Mario Draghi, quando si affaccia in conferenza stampa dopo l’incontro con i sindacati, accompagnato dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, e da quello dello Sviluppo economico, Giancarlo, Giorgetti.

E anzi rilancia, mette sul piatto l’ipotesi di un salario minimo e lo sblocco dei contratti collettivi fermi da troppo tempo, e così facendo viene incontro ad alcune delle richieste messe nero su bianco qualche giorno fa dal leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte.

«Ho già detto che per me non c’è un governo senza i Cinque Stelle, né ci sarà un Draghi bis», dice a chi gli chiede se alla prevista astensione dei senatori grillini domani alla fiducia a palazzo Madama sul dl Aiuti potrebbe seguire un ritorno alle Camere per verificare l’esistenza di una nuova maggioranza, diversa da quella attuale. «Su questo chiedete a Mattarella», accenna per smarcarsi dall’argomento, ma la mano tesa a Giuseppe Conte è evidente.

«Quando ho letto la lettera ho trovato molti punti di convergenza con l'agenda di governo - commenta - e quindi i temi affrontati nella riunione con i sindacati sono esattamente in quella direzione, sono punti che era necessario sollevare».

Quali sono questi punti? In primis il rinnovo dei contratti collettivi, soprattutto quelli fermi da troppo tempo, e il taglio del cuneo fiscale. È su queste due direzioni che si è svolto infatti il faccia a faccia di ieri a palazzo Chigi tra governo e sindacati, definito dal presidente del Consiglio «un incontro positivo». Anche perché per la prima volta si è parlato di un salario minimo, altro tema caro ai Cinque Stelle.

Ma certo Draghi non è intenzionato a rimanere sulla poltrona di palazzo Chigi se la diatriba con l’ex avvocato del popolo dovesse protrarsi a lungo. O magari nel caso in cui si aprissero fratture con altri, come ha specificato nel corso della conferenza stampa. «C’è chi annuncia sfaceli a settembre - sottolinea riferendosi implicitamente al raduno della Lega a Pontida subito dopo l’estate - Vorrei dire che con gli ultimatum non si lavora: se si ha la sensazione che si fa fatica a stare al governo, bisogna essere chiari».

Insomma, il presidente del Consiglio ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte, prima tranquillizzando i Cinque Stelle sul fatto che molti dei punti presentati da Conte convergono con il programma di governo, poi ribadendo che alternative, almeno dal suo punto di vista, non ce ne sono. Certo è che quanto messo sul piatto nell’incontro con Cgil, Cisl e Uil, dallo sblocco dei contratti fermi da troppo tempo ( «inaccettabile», secondo Draghi), al salario minimo ( «occorre tutelare i lavoratori più fragili» ), non può lasciare indifferente la componente grillina in maggioranza, che dopo la scissione del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, è diventata la seconda più numerosa dopo la Lega.

Ma ovviamente il presidente del Consiglio non ha nemmeno voluto sbilanciarsi quando è arrivata la domanda sulla possibilità di andare a elezioni anticipate.

In sostanza, se la mano tesa al M5S non dovesse essere accolta, che si fa? «Non commento scenari ipotetici, anche perché sono parte in causa», glissa l’ex presidente della Bce sul tema, lasciando eventualmente la palla nelle mani del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Ora dunque non resta che verificare la reazione di Giuseppe Conte, che in mattinata aveva chiesto risposte «nel più breve tempo possibile». Risposte arrivate ma solo in parte, e chissà se sufficienti a fare marcia indietro e convincere i senatori grillini a votare la fiducia al governo.

Perché l’altro punto su cui porre l’attenzione è capire fino a che punto Conte faccia presa sui suoi parlamentari, che in buona parte premono per staccarsi dalla maggioranza.

L’impressione è che l’ex presidente del Consiglio si sia infilato in un vicolo cieco. Saprà uscirne? La resa dei conti è ormai dietro l’angolo.