Giustizia sportiva è un conto, giustizialismo sportivo un altro. È quanto è emerso con forza nel dibattito organizzato ieri allo stand del Dubbio al Salone del libro di Torino dal titolo “Giustizia sportiva: giustizia o giustizialismo?”, moderato da Gennaro Grimolizzi e che ha visto la partecipazione di Stella Frascà, consigliere federale FIGC e commissione Diritto dello sport del Cnf, dell’avvocato Mattia Grassani e dell’avvocato Salvatore Crimi, consigliere del Coa di Torino e coordinatore della commissione Diritto sportivo.

Il punto di partenza, lo stesso per tutti: l’autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale, e anzi il conflitto che a volte si può creare tra i due ambiti. «La nostra discussione non può prescindere da un’affermazione: la giustizia sportiva è una cosa seria e regola dinamiche fondamentali non inferiori a quelle dell’ordinamento statuale - ha spiegato l’avvocato Grassani -. Si basa su norme, codici e regolamenti che sono diversi da quelle dello Stato». E per entrare nel dibattito si è parlato di un caso su tutti: quello di Beppe Signori, arrestato, radiato a vita e poi assolto dopo dieci anni di processi e gogna mediatica. Il racconto che Grassani fa di quel processo racconta molto del funzionamento della nostra giustizia sportiva.

«Io partecipavo in difesa di altri deferiti ma ricordo che fu giudicato in 40 minuti, poi il procedimento seguì il suo corso in una sorta di maxi processo. Eravamo in pieno agosto, molti dovevano partire per le vacanze e si davano tempi di 30 minuti a testa per discutere la posizione - ha detto l’avvocato -. Dopo due o tre giorni l’organo di giustizia di primo grado della Figc si ritirò e il verdetto fu esiziale: preclusione a vita a ricoprire qualunque incarico in seno alla Figc. Beppe Signori è stato condannato all’ergastolo sportivo con due pagine e mezzo di motivazioni».

L’avvocato Crimi si è poi soffermato sulle problematiche del diritto sportivo, senza entrare nei dettagli di particolari processi. «Il problema è l’oggetto del diritto sportivo, che accede più alla veste morale del comportamento dello sportivo che all’accertamento della responsabilità - è il ragionamento dell’avvocato -. Questa impronta moraleggiante la si legge anche nella velocità del giudizio che soddisfa esigenze di svolgimento di regolarità dei campionati e nella finalità della pena: nel processo penale la funzione della pena è rieducativa, come da Costituzione, mentre in quello sportivo è afflittiva. E questo, nelle sue conseguenze, lede principi fondamentali».

E talvolta si crea un gap nelle “armi” a disposizione tra accusa e difesa. Come nel processo Calciopoli in cui, ha ricordato l’avvocato, «si disquisiva di una norma che poteva attecchire nell’ambito del processo sportivo adattandola a un fatto nuovo, che quella norma non prevedeva».

Prima che Frascà raccontasse la sua esperienza da giudice sportivo, Grassani ha poi ricordato la vicenda del Genoa calcio nel 2003, quando «vinse 1-0 col Venezia e venne promossa in seria A ma pochi giorni dopo uscirono notizie sulle indagini della Procura di Genova con intercettazioni, pedinamenti e quant’altro che dopo tre gradi di giudizio tra luglio e agosto portarono alla retrocessione in serie C con tre punti di penalizzazione». Come finì la vicenda? «Dopo anni quasi tutti i coinvolti vennero assolti - racconta Grassani - perché tutte le fonti di prova furono dichiarate non utilizzabili dalla Cassazione». Il problema, ha insistito l’avvocato, è che «nel diritto civile e penale ci si basa “sull’oltre ogni ragionevole dubbio”, mentre «il diritto sportivo si basa sul “più ragionevole che non”».

Un punto importante della riflessione è stato toccato da Frascà quando l’avvocata ha fatto riferimento a un «codice di condotta riparatoria» che manca nel diritto sportivo, «soprattutto se pensiamo alla funzione sociale dello sport». Per Frascà infatti «non possiamo pensare di applicare sanzioni elevate come la radiazione a ragazzi minorenni che possono essersi resi responsabili di qualche condotta riprovevole senza tuttavia un percorso che possa permettergli di non abbandonare un mondo che porta avanti valori di lealtà e correttezza». Gli stessi valori che ci si augura di trovare in un’aula di tribunale, che sia di diritto civile, penale o sportivo.