Confermata la sentenza di primo grado. Anche in appello non è stata provata l'aggravante mafiosa nei confronti dei poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Parliamo degli ex componenti del gruppo d'indagine Falcone- Borsellino guidati da Arnaldo La Barbera, il gruppo che – sotto l'egida dei magistrati della procura nissena di allora condusse le indagini sulla strage di Via D'Amelio e gestì il falso pentito Vincenzo Scarantino che falsamente si autoaccusò e coinvolse persone poi risultate completamente innocenti.

Per Mario Bo l’accusa aveva chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi, per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo a 9 anni e sei mesi. Ai tre poliziotti era contestato il reato di calunnia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra, ma tale aggravante non è stata riconosciuta dal Tribunale di Caltanissetta nella sentenza in primo grado, e i tre poliziotti sono stati assolti tra merito e prescrizione. Il reato di calunnia c'è stato, ma prescritto visto che i fatti risalgono a più di trent'anni fa.

L'unica certezza è che Scarantino è stato costruito a tavolino, con le buone o con le cattive, per dare risposte false alla fase preparatoria della strage, come il furto della macchina da imbottire di esplosivo e i partecipanti alla sua preparazione. Il falso pentito viene istruito con particolari veri che solo gli investigatori potevano conoscere, ma riempie i buchi dell'indagine inserendo gli unici mafiosi che conosceva, quelli del suo quartiere, alcuni suoi parenti.

Eppure, già durante i primi processi poteva emergere chiaramente che Vincenzo Scarantino mentiva. Incredibilmente nei processi Borsellino 1 e 2, i giudici hanno riconosciuto la sua attendibilità. Nella sentenza del Quater si constata come i pubblici ministeri si siano tenuti ben lontani dal metodo utilizzato da Giovanni Falcone per riscontrare le parole dei pentiti. Non è certo un attestato di professionalità per quei pm, a cominciare dal loro capo Giovanni Tinebra per finire al più giovane di tutti, Nino Di Matteo.

Ricordiamo che i giudici di primo grado del processo contro i tre poliziotti, scrivono che «non vi è dubbio alcuno che ( l'ex dirigente della Squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera) fu interprete di un modo di svolgere le indagini di polizia giudiziaria in contrasto, non solo oggi ma anche nel tempo, con gli stessi dettami costituzionali prima ancora che con la legge» e che nel farlo, La Barbera «pose consapevolmente in essere una lunga serie di forzature, abusi e condotte certamente dotate di rilevanza penale».

Tuttavia, si precisa che «gli elementi probatori analizzati non consentono di ritenere che La Barbera fosse concorrente esterno all'associazione mafiosa o che l'abbia agevolata». E, di fatto, anche durante l'appello non sono emersi elementi certi che provano il favoreggiamento. Viene quindi esclusa l'aggravante mafiosa per tutti gli imputati ma – a differenza della sentenza di primo grado - è stata riconosciuta la responsabilità anche dell'imputato Michele Ribaudo, la cui posizione è stata dichiarata prescritta. «Evidentemente è passato troppo tempo dai fatti. Sul mancato riconoscimento dell’aggravante mafiosa leggeremo le motivazioni per decidere se fare ricorso in Cassazione» è stato il commento rilasciato dal procuratore generale di Caltanissetta Fabio D’Anna.