Andrea Delmastro ha un destino: far parlare di sé. Suscitare contrasti, anche. Basta leggere le reazioni arrivate ieri dal Pd dopo la richiesta di archiviazione formulata dalla Procura di Roma per l’ipotesi di violazione del segreto: da Anna Rossomando a Debora Serracchiani, non ci si è risparmiati dal rivendicare il fatto che, seppur in forma “extrapenale”, una rivelazione indebita del dossier “Cospito/41 bis di Sassari” ci sarebbe stata.

E al momento di ri-attaccare il soittosegretario alla Giustizia, le esponenti dem neppure avevano chiaro che il gip non ha archiviato e ha rimesso la decisione all’udienza fissata per luglio. Delmastro però è anche persona trasparente e pronta a mettersi in gioco. Anzi, a esporsi. In tutti i sensi. Anche personali. Lo ha dimostrato nello scorso fine settimana, quando è stato ospite nello stand del Dubbio al Salone del Libro di Torino. Un incontro, serrato, con il direttore del nostro giornale Davide Varì e Gennaro Grimolizzi. Nell’ampio e vivacissimo confronto, a proposito della vicenda Cospito, attorno a cui è divampata la polemica tra lui, il collega di FdI Giovanni Donzelli e il Pd, il sottosegretario alla Giustizia non ha esitato a svelare di averne pagato il costo anche in termini di salute: «Sono stato colpito un mese fa da ischemia».
Ecco: nell’incontro a Torino Delmastro ha chiarito ancora una volta, meglio forse di quanto non gli fosse riuscito in passato, che le sue posizioni sono polarizzate e suscitano reazioni altrettanto estreme, ma che certo non lo si può accusare di essere sfuggente. Il che, naturalmente, ha i suoi risvolti impegnativi. Non tanto riguardo alla visione che il responsabile Giustizia di FdI ha ribadito ancora una volta di avere sul carcere: «Deve esserci anche la componete social-punitiva», ha detto, «altrimenti la funzione rieducativa finirebbe per assumere un ruolo tirano rispetto alla prima, che pure la Costituzione prevede». Ha anche confermato l’idea secondo cui si dovrà puntare su «edilizia penitenziaria e rimpatrio dei detenuti stranieri». Ma poi ha tenuto a dire: «Io che sono considerato in Italia, sul carcere, l’anima nera del trattamento, ripeto che dal mio punto di vista i detenuti con tossicodipendenze andranno inseriti in percorsi ad alta intensità sanitaria di disintossicazione, perché prevedere per loro i laboratori di ceramica ma continuare a somministrare nello stesso tempo il metadone significa non portarli fuori dalla droga».

D’altra parte, anche le sue considerazioni sul 41 bis, che «in un caso come quello di Cospito va mantenuto, come per chiunque minacci lo Stato o suoi uomini come i carabinieri», risentono non solo dell’irremovibilità sul casus belli ma anche dell’asprezza con cui tengono il punto nei confronti del Pd. E alla domanda del direttore Davide Varì se pensasse di ritirare l’attacco in cui aveva giudicato la visita dei dem al carcere di Sassari “macchiata” da un «inchino alla mafia», offre la seguente ricostruzione: «Al netto della formulazione della frase, mi chiedo se davvero posso essere deplorato per aver fatto notare che se una delegazione di parlamentari, nobilmente impegnata nell’alto ufficio di visitare i detenuti, obbedisce alla sollecitazione di Cospito secondo cui, prima di parlare delle condizioni sue», cioè dell’anarchico, «gli esponenti del Pd dovevano passare preliminarmente da alcuni detenuti affilati a camorra o ’ndrangheta, per me sbagliano, e adottano una condotta assai poco istituzionale». Nessuna retromarcia. Solo quel vaghissimo «al di là della formulazione della frase».

Però c’è poi un altro risvolto interessante. Che riguarda le riforme. E che offre il titolo fin qui un po’ oscurato dell’intensissima partecipazione del sottosegretario Delmastro ai dibattiti torinesi del Dubbio: il rapporto di “non subordinazione” fra governo e magistratura. Il direttore Varì gli chiede: separazione delle carriere e intercettazioni saranno smorzate dal rischio del conflitto con l’Anm? E lui risponde così: «Come non mi faccio dettare da altri cosa dire su Cospito, così non mi faccio interdire dalla magistratura nel procedere sulle riforme che ritengo necessarie. La separazione delle carriere, dal nostro punto di vista, è un approdo di fine legislatura che realizza, finalmente, in pieno l’articolo 111 della Costituzione, perché garantisce la terzietà del giudice.

E implicitamente così assicura anche la costituzionalizzazione di quella parte del processo che è l’avvocato. Un riconoscimento che pure credo troverà spazio nel corso di questa legislatura». Dunque Delmastro dichiara che si interverrà non solo sulle carriere di giudici e pm, ma anche sull’avvocato in Costituzione. Lo fa con lo stesso tono netto con cui rivendica le proprie posizioni sul carcere. Smentisce le ipotesi di un governo Meloni dissuaso dalla scarsa voglia di aggiungere con l’Anm un fronte ai tanti che già deve fronteggiare.

È la parte “buona” che, nel caso di Delmastro, va presa o lasciata con quella su cui si può essere meno d’accordo, cioè con la sua intransigenza sull’esecuzione penale, sulla «certezza della pena». Prendere o lasciare. Ma certo non si potrà dire che il messaggio politico di Andrea Delmastro sia un fiorilegio di ambiguità.