È il day after delle polemiche o dei «sibili di rancore» come li definisce Carlo Nordio. Il ministro della Giustizia, a ventiquatrr’ore dall’arresto di Matteo Messina Denaro, evoca senza citarli attacchi come quello firmato da Marco Travaglio sul Fatto quotidiano di ieri, in cui si sostiene in pratica che la cattura del boss è avvenuta “malgrado il guardasigilli”, il quale avrebbe dichiarato «guerra alle intercettazioni». Era inevitabile, aver messo fine alla latitanza dell’ultimo mafioso stragista ha un peso politico: è stato rivendicato subito da Giorgia Meloni come un successo, e produce contestazioni e repliche sul fronte avverso, cioè da parte delle forze di opposizione e dei giornali ostili all’esecutivo. Ma in generale l’intera materia dell’antimafia è scossa da nuove tensioni.

La premier, a caldo, ha rivendicato per il proprio governo anche il merito di aver varato le nuove norme sull’ergastolo ostativo, inserite nel Dl Rave e appena convertite in legge dal Parlamento. Noin ci fosse stato quel provvedimento, certo, il prossimo 25 gennaio, nell’udienza fissata alla Consulta, poteva arrivare, in teoria, la definitiva abrogazione del precedente regime normativo in materia di “4 bis”, senza quella “rete di sicurezza” che la stessa Corte aveva sollecitato al legislatore. Ma tra i paradossi destinati a suscitare polemiche, c’è un pur astrattissimo dettaglio che riguarda proprio Messina Denaro: persino lui, boss sanguinario e stragista, di qui a trent’anni potrebbe presentare istanza per accedere alla liberazione condizionale. Seppur rigide al limite dell’irragionevole, le norme sull’ergastolo ostativo varate dal governo e ulteriormente inasprite in Senato lasciano aperto un piccolo spiraglio anche per il più efferato dei reclusi, che d’ora in poi avrà una chance di uscire dal carcere anche qualora non accettasse di collaborare con i pm.

D’altra parte la legge così andava scritta, o sarebbe incappata in una definitiva pronuncia di incostituzionalità da parte del giudice delle leggi. Sempre a proposito dell’ergastolo va citata la velenosa illazione di Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso in via d’Amelio, che intravede uno scambio tra l’arresto di Messina Denaro e la «liberazione di personaggi come i Graviano». La legge lascia aperta una pur minima possibilità per i Graviano come per Messina Denaro. E anche se a pretendere di modificare le norme sul 4 bis è stata la Corte costituzionale, è facile immaginare che alla prima liberazione di un boss di Cosa nostra, le ipotesi di Salvatore Borsellino diventerebbero dogmi sulle prime pagine di diversi giornali.

Nel day after della cattura, Roberto Saviano, in un’intervista alla Stampa, ha il coraggio e l’onestà di ricordare che «l’ergastolo ostativo contraddice la vocazione stessa della Costituzione», in quanto misura contraria «alla natura stessa della pena, che serve a reinserire e non ad escludere». Ma si rialza la tensione anche sul dossier intercettazioni. In un’intervista a Radio 24, Nordio, come detto, riporta tutto al fatto che a realizzare l’arresto di Messina Denaro sia stato «un governo di centrodestra»: a questo, osserva, «alcuni media non si rassegnano».

Il guardasigilli replica però anche nel merito ad accuse come quelle di Travaglio: «Da anni ripeto che le intercettazioni sono assolutamente indispensabili per la ricerca della prova e per comprendere i movimenti di persone indiziate di reati gravissimi. Ma», aggiunge, «vanno cambiati l’abuso che se ne fa soprattutto per reati minori e la diffusione a mezzo stampa di intercettazioni senza alcun valore legale». Intanto, è vero: Nordio aveva chiarito già ben prima dell’arresto di Messina Denaro che per mafia e terrorismo non sarebbe cambiato nulla, ne aveva parlato al question time la scorsa settimana.

Ma non è detto che i chiarimenti bastino a spegnere le polemiche: sempre ieri mattina, ad Agorà su Rai 3, l’ex procuratore nazionale Antimafia e attuale deputato del M5S Federico Cafiero de Raho dice che sarebbe gravissimo limitare le intercettazioni non solo nel caso della mafia ma anche per la corruzione, visto che ai boss, sostiene, si arriva a partire da altri reati, come appunto quelli contro la pubblica amministrazione. Resterà insomma la guerra fredda su qualsiasi intervento in materia di Antimafia. È la dura legge del marketikng politico, che a un trofeo conquistato dal governo Meloni deve per forza far corrispondere un attacco uguale e contrario dall’opposizione.