LA CRISI DI LEGA E 5STELLE

Forse è su questo che dovremmo interrogarci nel cercare di capire e commentare le fibrillazioni che stanno accadendo, in contemporanea, nelle due formazioni politiche che più di tutte hanno rappresentato in questi anni la “pancia del paese”, ovvero Lega e Cinquestelle. Perché è innegabile che di alcuni fenomeni sociali e epocali che ci hanno investito o di alcune “questioni” dai caratteri istituzionali o dai risvolti sociali – come l’autonomia differenziata o le grandi opere e il reddito di cittadinanza – Lega e Cinquestelle ne hanno rappresentato “la voce”, spesso radicalizzata, spesso sopra le righe.

LANFRANCO CAMINITI Così Draghi ha schiantato i populisti...

La forza tranquilla del premier ha fatto esplodere Lega e 5S. Adesso è lui la nuova pancia del paese

Forse è su questo che dovremmo interrogarci nel cercare di capire e commentare le fibrillazioni che stanno accadendo, in contemporanea, nelle due formazioni politiche che più di tutte hanno rappresentato in questi anni la “pancia del paese”, ovvero Lega e Cinquestelle. Perché è innegabile che di alcuni fenomeni sociali e epocali che ci hanno investito – come le migrazioni e la digitalizzazione – o di alcune “questioni” dai caratteri istituzionali o dai risvolti sociali – come l’autonomia differenziata o le grandi opere e il reddito di cittadinanza – Lega e Cinquestelle ne hanno rappresentato “la voce”, spesso radicalizzata, spesso sopra le righe. Spesso inconcludente.

Che dentro la Lega e dentro i Cinquestelle, il “dissidio” si sia aperto tra un’ala governista ( i Giorgetti, Zaia, Fedriga per l’una, e i Di Maio, eccetera per gli altri) e la direzione politica ( Salvini e Conte) che sembra sempre sul punto di mandare tutto all’aria per riprendere toni barricaderi ( siano le tasse o la guerra) – fino al rischio che entrambi i partiti si spacchino – è proprio il nocciolo della questione. Che vorrei però provare a vedere tirandosi fuori dai conflitti dentro le formazioni politiche. Provando appunto a interrogarsi sulla pancia del paese. Per capire cosa sta accadendo a questo paese dovremmo ripensare a tutto quello che è accaduto da quando è esploso il contagio prima, e da quando è scoppiata la guerra, dopo. La paura, il dolore, lo smarrimento, il lutto dei primi giorni, quando il contagio si abbatté su Bergamo e la Lombardia ( i camion militari con le bare) e che potevano costituire un “comune sentimento popolare” non sono mai riusciti a diventare “politica” – pure che la rabbia e la frustrazione contro l’inadeguatezza, per usare un eufemismo, delle classi dirigenti andavano crescendo. Si sono invece trasformati, soprattutto all’arrivo del vaccino e al varo delle “misure di contenimento” quale il green- pass, in un pensiero magico ( il 5G, il complotto per la de- popolazione, gli interessi di Big Pharma, lo stato d’eccezione ormai conclamato) e in una vuota radicalizzazione ( da Trieste a Roma, con l’assalto alla Camera del lavoro, di cui non si capiva francamente “la pertinenza”) che riempivano il vuoto di un pensiero e di una proposta politica.

Non solo tutto questo non è servito a nulla – a parte l’avere amplificato i timori e le diffidenze popolari sulla vaccinazione che hanno finito con l’accumulare ancora morti su morti – ma quando questo pensiero magico ha provato a “mettersi in proprio” politicamente, con liste elettorali, cioè a ritagliarsi uno spazio per sottrarlo a quelle forze politiche che più vi occhieggiava- no ( ovvero Lega e Cinquestelle), ha fatto flop miseramente.

Ne è venuto, a livello sociale, una sorta di rassegnazione, un vaccinarsi per obbligo, dove necessario, un lento disinteresse, una “naturalizzazione” del contagio, una convivenza coatta. Che ancora durano. In questo sentimento, è scoppiata la guerra.

Che, proprio perché non c’era stata capacità di trasformare il contagio in politica, ha riproposto pari pari ( in alcuni casi, con le medesime persone) “la forma” di sentimento con cui a livello sociale si è guardato all’inizio alla guerra – la paura, il dolore, lo smarrimento, il lutto dei primi giorni – e poi progressivamente l’emergere di un nuovo pensiero magico e di una nuova vacua radicalizzazione. Fino alla lenta rassegnazione, quando non all’indifferenza.

In tutto questo, proprio le forze politiche più permeabili alla “pancia del paese” sono implose. E sono implose perché tra l’una piaga – il contagio – e l’altra – la guerra – è apparso il governo Draghi.

L’effetto politico del governo più impolitico della storia repubblicana di questo paese è stato quello di avere fatto implodere le contraddizioni dentro la Lega e dentro i Cinquestelle. Non è solo l’accumularsi delle contraddizioni irrisolte – ciascuna, a seconda – dentro quelle forze politiche che ne sta provocando a crisi: è che Draghi ne sta provocando la crisi. Forse non è casuale che, almeno emblematicamente, le due forze politiche che meno stanno soffrendo il governo Draghi sono una, quella che l’ha abbracciato convintamente, il Pd, e l’altra, quella che vi si è opposta convintamente, Fratelli d’Italia.

Ora, questo è un po’ il nocciolo delle mie chiacchiere, quello che voglio dire è che il governo Draghi in questo momento “rappresenta” forse la pancia del paese, il suo passaggio. Con un calembour, direi: il suo ' travaglio'.

Non intendo “l’area Draghi”, quella su cui si vanno accapigliando Calenda e Renzi, scommettendo su un futuro di “terza forza”. Draghi è molto di più di un venti percento, molto di più di una terza forza, in questo momento. I populismi forse non sono morti – ma di certo non stanno tanto bene. Draghi ( un ' commissario', non un sindaco – anche se a vol ques Séguéla inventò per Mitterrand: ' un force tranquille', senza alcun paragone fra i due) non è uomo da suscitare entusiasmi sociali, e infatti non è esattamente questo che io credo “rappresenti” in questo momento.

Che non è un momento di entusiasmi sociali.