Se in un processo, come nel “caso Consip”, succede che, quando si arriva davanti ai giudici, la sentenza condanna gli accusatori e assolve gli accusati. E se coloro che erano stati chiamati alla sbarra avevano una caratteristica comune, quella di essere legati per motivi politici o di parentela a uno stesso soggetto. E se questo soggetto era un presidente del consiglio, possiamo parlare di complotto politico?

Qualunque persona di buon senso, ripercorrendo questa storia, che parte, ma guarda un po’, dalla prima pagina del Fatto quotidiano del 23 dicembre 2016 e si conclude (speriamo) l’11 marzo 2024, non può che pensare che Matteo Renzi sia stato vittima di un assalto politico-giudiziario-giornalistico. E con lui coloro che, a causa della loro vicinanza con colui che in quegli anni fu presidente del consiglio, hanno sofferto di più perché hanno perso reputazione e sonno, e qualcuno anche la libertà. Babbo Tiziano, prima di tutto, spiato fino all’ombelico e persino dileggiato dal peggior giornalista del peggior quotidiano perché in un’intercettazione privata che andava distrutta, non pubblicata, pareva non godesse della totale fiducia del figlio.

E poi Luca Lotti, il dignitoso semplice tesserato del Pd, un partito che non merita persone come lui o come Stefano Esposito, il pluri-intercettato, schiacciato prima ancora che da inquirenti incattiviti, dalle carogne della politica. Di certa politica, quella dei virtuosi, dei bravi. Modesti di studi, ma bravi a correre in procura o a costituirsi parte civile nei processi contro gli avversari politici. Luca Lotti ha fatto della dignità il suo nuovo vestito. E’ stato ministro e sottosegretario alla presidenza del consiglio. Due ruoli di potere, il secondo ancor più del primo. Poi quel giorno, il 23 dicembre 2016, in cui, di fianco a un’orribile vignetta che ritraeva Tiziano Renzi, il titolone di apertura del quotidiano di Travaglio annunciava “Indagato Lotti” e spiegava nel sommario “L’inchiesta su appalti truccati e soffiate alla Consip”.

Sono passati 2.635 giorni, sette anni e due mesi da allora, li ha contati lui, il protagonista, prima di arrivare alla sentenza di assoluzione. Una storia che in quegli anni si è intrecciata con un’altra, che ha sempre al centro intercettazioni, spioni e stampa. E’ stato quando Lotti ha poi peccato congiungendosi con alcune toghe guidate da Luca Palamara in un conciliabolo notturno all’hotel Champagne e i più puri del suo partito hanno cominciato a epurarlo. Non stavano organizzando un narcotraffico, ma un politicissimo collocamento di vertici di magistratura, come si è sempre usato. Ma prima non c’erano i trojan, quegli strumentini-spia che basta accendere e spegnere a comando, così si decide chi buttare a mare, come Palamara e Lotti, e chi no, come altri nomi che non si possono pronunciare.

Il “caso Consip” ha solo aperto la strada a quel percorso in discesa verso la militanza di base del partito cui Lotti è ostinatamente iscritto. Ma è servito anche a indicare un metodo. Ancora vigente, e così vigoroso, da indurre ben pochi, oggi che quei protagonisti del “caso Consip” sono stati assolti, mentre vengono condannati coloro che navigarono in quel mondo di passacarte, a mostrare di scandalizzarsi. Eppure c’è stato chi, come l’imprenditore Alfredo Romeo, ne ha avuto anche sofferenza fisica, oltre che economica e di reputazione, dal momento che è stato in carcere per sei mesi. Anche lui è stato assolto. Come gli altri cinque imputati, oltre a quelli già indicati. Sette anni di inutili tormenti.

Ma questo processo, ora che è terminato, portiamolo nelle aule delle università, facciamolo conoscere con proiezioni pubbliche. E invitiamo quei giornalisti, e quei magistrati, e quegli “spioni” che non hanno avuto pudore nel fare quello che hanno fatto. Uno di questi giornalisti, cui va la gloria di aver persino scritto un libro sulla famiglia Renzi e il “caso Consip”, ancora oggi minaccia, in italiano incerto, “continueremo a occuparcene perché questo caso riguarda come viene gestita la giustizia in Italia”.

In un certo senso ha ragione sul criticare la gestione della giustizia. Perché questo è stato un processo in cui sono saltate le regole dal primo fino all’ultimo minuto. Fino al giorno in cui, paradosso dei paradossi, si è arrivati a una sentenza che ha rispecchiato l’impostazione iniziale della procura della repubblica di Roma, in contrapposizione all’ipotesi accusatoria del pm napoletano Henry Jhon Woodcock. Quello che resta di quell’accusa iniziale sull’appalto Consip da 2,7 miliardi di euro, supportata da decine e decine di pagine di verbali riversate sul quotidiano di famiglia delle procure e dei servizi, è la condanna di due uomini della squadra di inquisitori delle prime indagini. Un anno e mezzo all’ex maggiore Giampaolo Scafarto e tre mesi al colonnello dei carabinieri Alessandro Sessa per falso, rivelazione e omessa denuncia. Coloro che avevano nelle mani il bandolo della matassa, vi sono finiti ingarbugliati.

Ma dobbiamo ricordare che questa inchiesta, nata da subito coma anatra zoppa, avrebbe potuto comunque finire nel giro di tre mesi. Fin da quando, era l’11 aprile2017, i principali giornali non titolarono “false prove nel caso Consip”, quando si scoprirono alcune manipolazioni sulle intercettazioni. Fu allora che la procura di Roma chiese l’archiviazione per gli imputati, in particolare Tiziano Renzi, e l’incriminazione del carabiniere Giampaolo Scafarto sia per la diffusione di intercettazioni riservate che per falso. Infatti, dal nuovo ascolto della stessa bobina, appariva chiara l’attribuzione di una voce a una persona invece che a un’altra.

Ma in quell’occasione furono due giudici delle indagini preliminari a opporsi alle richieste della procura. Da un lato Clementina Forleo, che respingeva la richiesta di rinvio a giudizio per Scafarto e Sessa, costringendo il pm a ricorrere alla corte d’appello per poterli portare a processo. Dall’altro il gip Gaspare Sturzo che invece si era opposto all’archiviazione nei confronti di Romeo, Renzi, Lotti e gi altri indagati. Così sono passati sette anni. Che sono secoli per chi li ha sofferti. E una vergogna per tutti. Sta proprio saltando in aria l’intera giustizia. E anche il mondo dell’informazione, purtroppo, a causa di conclamate complicità nell’aggressione giudiziaria per motivi politici.