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Torna il carcere per i giornalisti “diffamatori”, nonostante l’invito al Parlamento, da parte della Consulta, ad eliminarlo. A proporlo è un emendamento del relatore Gianni Berrino, senatore di Fratelli d’Italia, al disegno di legge sulla diffamazione del presidente della commissione Affari costituzionali e collega di partito Alberto Balboni. In particolare, si prevede il carcere fino a 3 anni e la multa fino a 120mila euro per “condotte reiterate e coordinate” di diffusione di notizie false. L’emendamento aggiunge un comma al ddl Balboni, punendo la “diffusione di notizie false con il mezzo della stampa”.
Prevista anche la pena accessoria dell’interdizione dalla professione di giornalista per un periodo da tre mesi a tre anni. Inoltre, quando le condotte “consistono nell’attribuzione, a taluno che si sa innocente, di fatti costituenti reato, la pena è aumentata da un terzo alla metà”. Si introduce così un nuovo articolo - il 13-bis - alla legge sulla stampa, dopo che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 13 della legge sulla stampa proprio perché prevedeva pene detentive, in contrasto con la giurisprudenza della Cedu. A criticare la proposta non sono soltanto le opposizioni, ma anche alcuni esponenti della maggioranza. A partire dal forzista Pierantonio Zanettin, secondo cui l’obiettivo è restituire al diffamato «il proprio buon nome e la propria onorabilità», cosa per la quale basta la rettifica, «non è necessario il carcere».
Dal canto suo, la presidente della Commissione Giustizia al Senato Giulia Bongiorno (Lega), pur non entrando nel merito, ha annunciato una riunione di maggioranza, sottolineando però che il Carroccio «tiene soprattutto a focalizzare l’attenzione sul tema del titolo degli articoli e delle rettifiche».
Critici Pd e M5S. «Questa maggioranza ha proprio un conto aperto con la libertà di informazione», hanno sottolineato i senatori Alfredo Bazoli, Anna Rossomando, Franco Mirabelli, Walter Verini. Mentre per la senatrice grillina Dolores Bevilacqua, «si sta superando un limite che un Paese come l’Italia non può permettersi di varcare».