«Grave e inescusabile negligenza». È un’espressione ricorrente nei procedimenti disciplinari a carico di dipendenti pubblici. Riecheggia persino nella riforma della responsabilità civile dei magistrati approvata nel 2015. Ebbene, la formula compare ora nell’atto con cui il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha avviato l’azione disciplinare nei confronti dei tre giudici della Corte d’appello di Milano – Monica Fagnoni, Micaela Serena Curami e Stefano Caramellino – che il 25 novembre scorso avevano concesso i domiciliari con braccialetto elettronico, all’imprenditore russo Artem Uss, fino ad allora detenuto nel carcere di Busto Arsizio, poi evaso il 22 marzo per fare ritorno in patria.

Un caso che rischia di provocare vertigini per la sua duplice cifra. Da una parte per la reazione dell’Anm, che accusa Nordio di sindacare il merito delle valutazioni compiute dalle toghe e di violare così la Costituzione, fino a mettere in gioco i «principi» delle «democrazie liberali» . Dall’altra perché è chiaro ormai come il caso dell’imprenditore dei due mondi - che è figlio di Alexander Uss, governatore siberiano amico di Vladimir Putin, e che ha interessi petroliferi fra il Venezuela e la vecchia Europa - abbia una fortissima valenza geopolitica.

Di Artem Uss, gli Stati Uniti avevano chiesto l’estradizione lo scorso 11 novembre, con due giorni di ritardo rispetto a un’analoga richiesta avanzata da Mosca. Il Dipartimento di Stato americano contestava reati connessi sia alla violazione dell’embargo petrolifero inflitto al Venezuela (e ai relativi cointeressi della Russia) sia alla violazione di segreti sulle informazioni militari. Un diverso collegio della Corte d’appello di Milano aveva accolto, lo scorso 22 marzo, la richiesta americana di estradare Uss, seppure limitatamente alla prima delle due accuse avanzate da Washington. Poche ore dopo, l’oligarca è evaso dai domiciliari, scontati fino a quel momento in un’abitazione, di proprietà della compagna, a Basiglio, alle porte di Milano.

Basta la sommaria ricostruzione a comprendere come, sulla vicenda, siano in gioco innanzitutto i rapporti fra Roma e Washington, prima ancora che quelli fra il guardasigilli e i magistrati italiani. Non è un caso che l’azione disciplinare appena avviata contro i tre giudici della Corte d’appello lombarda sia stata al centro di un vertice fra la premier Giorgia Meloni e Nordio. Né stupisce che il ministro riferirà alla Camera sulla questione.

Il punto è che c’è uno stridore fatale e insostenibile fra il livello internazionale del caso Uss e quello politico-giudiziario domestico. Si tratta, in apparenza, di problemi dalla consistenza assai diversa, per il governo. In apparenza. Perché la replica della magistratura associata a Nordio è tutt’altro che conciliante. «In ossequio al basilare principio di separazione dei poteri», ricorda per prima la sezione milanese dell’Anm, «la legge prevede in generale che “l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove non danno luogo a responsabilità disciplinare” ( articolo 2, comma 2 del decreto legislativo 109/ 2006). Ciò proprio per evitare che il potere esecutivo utilizzi il grimaldello del procedimento disciplinare per orientare l’attività giudiziaria».

Ora, il guardasigilli contesta ai tre giudici della Corte d’appello di Milano di non aver considerato, ad esempio, il parere negativo, sulla concessione dei domiciliari, espresso dalla Procura generale del capoluogo lombardo. Valutazione che, secondo Nordio, si incrocia con altre circostanze le quali, «se opportunamente ponderate», avrebbero potuto portare i magistrati «a una diversa decisione». Ma l’Anm Milano vede proprio in tale “pretesa” di un giudizio diverso, rispetto a quello espresso dai tre colleghi lo scorso 25 novembre, una violazione del principio di separazione dei poteri. Secondo le toghe, è per «aggirare tale principio» che il ministro «utilizza in via strumentale una contestazione disciplinare ai sensi dell’articolo 2 comma 1 lettera ff), pacificamente riservata a provvedimenti clamorosamente errati, abnormi o con finalità extra- processuali», si legge nella nota dell’Anm milanese.

Passano poche ore e intervengono prima il presidente “nazionale” del “sindacato” dei giudici Giuseppe Santalucia e quindi la giunta da lui stesso presieduta, con una nota ufficiale. Con le agenzie di stampa, Santalucia parla di «scivolone istituzionale che si doveva evitare», poi rincara la dose e ricorda: «Il ministro e il Csm (davanti al quale dovrà svolgersi il procedimento avviato da Nordio, nda) non possono sindacare l’attività di interpretazione di norme di diritto e la valutazione del fatto e delle prove. Sarebbe assai grave se questo limite, argine a tutela della autonomia e della indipendenza della giurisdizione, fosse stato superato».

Quando arriva il comunicato ufficiale della giunta esecutiva centrale Anm, i toni si fanno ancora più gravi: «Si tratta di una grave invasione di campo nella sfera della giurisdizione, con inaccettabile intromissione sul sindacato interpretativo delle norme e sulla valutazione degli elementi di fatto sottesi alla decisione, che non possono essere oggetto di azione disciplinare, se non a costo di minare in radice l’autonomia e l’indipendenza dei giudici» , è la premessa. Con successivo avvertimento: «La giunta Anm seguirà con grande attenzione gli sviluppi della vicenda, riservandosi di valutare ogni opportuna azione a presidio di principi e valori costituenti patrimonio comune in tutte le democrazie liberali». E forse, la scelta del termine “democrazie liberali” non è casuale, visto che di mezzo c’è la potenza capofila delle democrazie occidentali, cioè gli Usa.