«Autovincolo a correntismo alternato». Basterebbe questa frase, pronunciata mercoledì scorso in plenum dal togato indipendente Andrea Mirenda, per dare le dimensioni dell’ennesima guerra all’orizzonte all’interno del Consiglio superiore della magistratura e tra quest’ultimo e i giudici amministrativi. Una guerra che ieri si è arricchita di una nuova pagina: la V Commissione, infatti, ha deciso di riproporre Giovanni Bombardieri alla guida della procura di Reggio Calabria, con quattro voti contro i due accordati a Domenico Angelo Raffaele Seccia.

E ciò dopo due sentenze di annullamento che hanno dato ragione a Seccia, una sentenza di ottemperanza e un rigetto di una revocazione per ottemperanza in cui i giudici amministrativi dettavano in maniera calligrafica al Csm il percorso da seguire. «Trovo sorprendente questa decisione, in quanto difficilmente riconducibile (se non inconciliabile) al giudicato amministrativo - ha commentato al Dubbio Mirenda dopo la decisione della V Commissione, di cui fa parte -. In attesa che venga motivata adeguatamente esprimo tutte le mie perplessità. Il rischio è quello di un atteggiamento ribellista del Csm». La scelta su Reggio Calabria, infatti, rende ancora più chiara la posta in gioco: i limiti dell’azione del Csm e il “rifiuto” delle sentenze di Tar e Consiglio di Stato. Un atteggiamento che, di fatto, mette in discussione il senso stesso dell’attività dei giudici amministrativi, con una possibile lesione delle loro prerogative.

Il punto è che le regole del Testo unico - un documento, ha detto lo stesso Mirenda in plenum, «quanto mai pasticciato che ha consentito fin qui praterie di arbitri» - sono regole scritte dagli stessi magistrati che oggi vorrebbero “interpretarle”, trincerandosi dietro la convinzione che basti una motivazione rafforzata per evitare bocciature ed eccessi di potere. E ciò, dunque, consentirebbe di sfuggire ai vincoli rigidi imposti a Palazzo dei Marescialli non dall’esterno, ma dallo stesso organo di autogoverno, aprendo la strada a scelte “politiche”. Il Consiglio, ha evidenziato però ancora Mirenda, «deve avere consapevolezza del suo ruolo di alta amministrazione, che nulla ha di politico e deve quindi muoversi come componente di alta amministrazione, in seno a tutte le altre istituzioni, in coerenza e rispetto delle decisioni delle altre istituzioni». Da qui l’accusa di un «autovincolo a geometria alternata», che poco piace al togato indipendente, già rivelatosi il “grillo parlante” del Consiglio. «Se abbiamo presente da dove stiamo venendo - ha ammonito -, il nostro fabbisogno di autorevolezza lo formiamo con una spinta ad oltranza sulla discrezionalità tecnica, come la si chiama qui, oppure, al contrario, col recupero della trasparenza, della leggibilità, della riconoscibilità del percorso giuridico delle nostre proposte e decisioni? Nel caso di specie, la gerarchia tra gli indicatori specifici, la preminenza dell’articolo 18, li abbiamo scritti noi nel nostro testo unico o lo ha scritto qualcuno nell’Iperuranio? E allora, quell’autovincolo lo vogliamo rispettare oppure no? Perché su questo si fonda l’autorevolezza: sulla riconoscibilità dei percorsi giuridici».

Di parere diverso il togato di Area Antonello Cosentino, secondo cui il vero punto di discussione è «la latitudine della discrezionalità consiliare nella prospettiva della scelta dell’uomo giusto al posto giusto». Ovvero: come superare le regole quando queste non consentono di nominare il migliore dei candidati possibili. «Noi dobbiamo cercare la soluzione giusta - ha sottolineato -. La giurisprudenza amministrativa fa il suo lavoro, sono giudici e giudicheranno. Le delibere del Consiglio devono essere motivate e devono spiegare perché il consiglio esercita la propria alta discrezionalità su determinate scelte. Allora io ritengo che questo Consiglio debba assumersi la responsabilità costituzionale di fare le sue scelte e di fare le sue scelte motivandole. Non bisogna perdere l’occasione per riaffermare la potestà consiliare di scegliere l’uomo giusto al posto giusto». Anche perché, ha sottolineato Roberto D’Auria di Unicost, «l’interpretazione di Mirenda introduce una griglia di rigidità di criteri tiranni rispetto ad altri criteri che corre il rischio di individuare in quella rigidità un sistema che non consente la piena esplicazione della discrezionalità tecnica del Consiglio». Discrezionalità verso la quale, secondo Tullio Morello (Area), bisogna fare «uno scatto». Un ragionamento non condiviso da Bernadette Nicotra, di Magistratura Indipendente: «L’autorevolezza di questo Consiglio la possiamo recuperare, la dobbiamo avere, applicando le regole - ha sottolineato -. Dal 2015 abbiamo un Testo unico della dirigenza giudiziaria e a questo oggi dobbiamo attenerci. Altrimenti facciamoci promotori di una modifica, perché molte cose poi finiscono per portare a quell'arbitrio e a quell’eccesso di discrezionalità» descritti da Mirenda.