LO SCENARIO

Le dichiarazioni altisonanti sull'occidente mai così unito sono di prammatica e d'obbligo, ma la realtà è che la crisi impatta in modo molto diverso sugli Usa e sull'Uk da un lato e sulla Ue dall'altro. Ma anche l'Unione si prepara a fronteggiare una situazione certamente difficile ma che potrebbe diventarlo molto di più in ordine sparso. Il silenzio di Ursula von der Leyen, letteralmente scomparsa da settimane è eloquente. La gestione della vicenda è americana e la Casa Bianca dialoga con i singoli Stati o con i principali di loro intorno allo stesso tavolo. Non con un'Unione che al momento è semplicemente inesistente ma che tuttavia dovrà invece esistere proprio perché l'onda di ritorno della guerra e delle sanzioni investirà l'Europa molto più degli Usa.

L'agenda dei problemi sul tavolo è a dir poco impressionante ma le due questioni fondamentali sono l'ipotesi di un intervento dell'Unione simile a Recovery Fund usato contro il Covid, a sostegno dei Paesi europei maggiormente colpiti tra cui l'Italia, e quella di nuove sanzioni, sulle quali insisterà di persona giovedì sera il presidente degli Usa Biden, di fatto anche a nome anche del premier dell'Uk Johnson, ma anche i Paesi baltici, specialmente la Lituania. I due temi sono strettamente collegati per vie diverse. Le nuove sanzioni, in concreto l'embargo sul petrolio e sul gas russi, sarebbero esiziali per la Germania e per l'Italia. Probabilmente se fossero decise non basterebbe nessun aiuto europeo per evitare una crisi economica devastante e senza precedenti. L'interrogativo ' Morire per Kiev?' non sarebbe solo metaforico. Ieri, dopo il discorso di Zelensky, il premier ha assicurato i tempi per raggiungere l'indipendenza dal gas russo saranno molto rapidi ma, per quanto si possa correre, l'embargo ora sarebbe per l'Italia fatale.

Tuttavia l'Italia, a differenza della Germania e dell'Ungheria, non si oppone ufficialmente a una scelta del genere, anzi sia Di Maio che lo stesso Draghi si sforzano di non apparire come apertamente ostili. Non è un segreto che contano sul veto tedesco per cavarsela senza scoprirsi ma la scelta ' prudente' è molto significativa. Rivela infatti che l'Italia non si è ancora liberata dall'alone di sospetto che si era addensato sulla credibilità italiana nei primi giorni del conflitto. La durezza estrema dei toni di Draghi, ma anche alcune dichiarazioni sgangherate del ministro degli Esteri, si spiegano proprio con la necessità di rassicurare gli alleati sulla solidità del fonte italiano.

Questa ombra, tuttavia, indebolisce l'Italia sull'altro versante fondamentale, quello degli eurobond. Lì la Germania è schierata sul fronte opposto: non ancora convinta, come del resto il fronte dei Paesi frugali, sull'opportunità di imporre un tetto ai prezzi di gas e petrolio e sulla necessità di ricorrere al debito comune sia per ' coprire' il calmiere sia per offrire sostegno ai Paesi del sud, quelli messi più in difficoltà dall'aumento dei prezzi dell'energia. L'ipotesi è una sorta di scambio, con la Germania che dovrebbe dare il via libera agli eurobond in cambio della garanzia del non embargo su gas e petrolio russi. Per l'Italia sarebbe una specie di tombola, avendo tutto da guadagnare in entrambi i termini dell'eventuale scambio. Ma che tutto vada liscio e le cose si concludano davvero così senza incontrare ostacoli non è affatto certo.

La partita è importante quanto quella di due anni fa sul Covid e il Recovery Fund ma è ancora più delicata perché di fronte alla pandemia tutti i Paesi si trovavano in situazione simile mentre nella crisi energetica il quadro è opposto. Senza contare la volatilità della situazione: dire no alla richiesta di nuove sanzioni oggi è ancora possibile, ma a fronte di una ulteriore drammatizzazione della guerra potrebbe diventare impossibile nonostante il veto tedesco.

Sin qui la guerra ucraina è stata per l'Unione uno scacco. La Ue si è trovata sguarnita e impreparata, incapace di volgere un qualsivoglia ruolo autonomo, costretta a subire l'iniziativa degli Usa ben più di quanto non voglia e possa ammettere. Il Consiglio europeo di domani offre una possibilità reale per tentare di trasformare un danno in un vantaggio, adoperando la difficoltà del momento come spinta per accelerare il processo di integrazione. È su questo che punta Draghi e non è affatto una partita persa in partenza. Neppure facile da vincere però.