Ci sono i “casi Bibbiano”, da un lato. E poi i casi come quello dei piccoli Evan e Gioele. In mezzo un mare di approssimazione e facili deduzioni, la demonizzazione dei servizi sociali, la loro assenza sul territorio e il circo mediatico che inquina tutto. A rimetterci, in ogni caso, sono loro, i bambini. La storia di Evan, massacrato, secondo l’accusa, dal compagno della madre, anche lei finita in manette e già in precedenza indagata dalla procura di Siracusa per i ricoveri anomali del bambino, con una denuncia ignorata fatta dal padre del piccolo in Liguria, riapre la questione e pone nuovi interrogativi.

Domande pesanti, avanzate, ad esempio, da Marco Scarpati, avvocato ed esperto di protezione dei diritti dei minori, il cui nome è finito ingiustamente nel vortice dell’inchiesta “Angeli& Demoni”. Criminalizzato e poi risultato innocente, oggi si chiede se la caccia alle streghe partita più di un anno fa abbia intaccato pericolosamente la tutela dei diritti. «Un anno fa le polemiche sui cosiddetti affidi facili e sul "parlateci di Bibbiano" scrive sul suo profilo Facebook -. Queste sono le conseguenza: gli affidi extrafamigliari, l'allontanamento dai genitori non viene più svolto ( per paura delle conseguenze e delle critiche) e i bambini e i loro diritti vengono calpestati. Quando un Tribunale per i Minorenni toglie un bambino a un genitore lo fa a ragion veduta, come scelta protettiva per un bambino che non trova, nei suoi genitori naturali, persone adatte ( almeno in quel momento o in quella situazione) ai suoi bisogni. E nessun servizio sociale fa segnalazioni facilmente o per motivi frivoli, ma sempre dopo avere cercato una soluzione interna alla famiglia, dopo avere cercato di sostenere le possibilità autoriparative degli adulti responsabili di quella famiglia. Chi ha le colpe della vergognosa campagna di odio lanciata a suo tempo dovrebbe ragionarci e chiedere scusa ai tanti piccoli Evan».

Parole che conferma al Dubbio, denunciando quello che, personalmente, vede ogni giorno con il suo lavoro. «C’è una situazione di corposa difficoltà nella gestione della materia - spiega -. Da un anno non si trovano psicologi che si prendano la responsabilità di casi dove esistono possibili procedimenti giudiziari in corso. La iper responsabilizzazione che c’è stata rispetto agli interventi degli psicologi e dei terapeuti come possibili modificatori della prova, così come ipotizzato nel caso Bibbiano, hanno provocato ritardi e tentennamenti che mettono in secondo piano il diritto alla salute del bambino rispetto al diritto di giustizia». Insomma, senza rassicurazioni, la paura di intervenire, sbagliare e finire in un tritacarne è tanta. Il clima è incerto, le notizie inesatte o imprecise, le accuse prese per buone a prescindere. E basta un giornale che faccia da megafono ad una sofferenza magari giusta o anche solo comprensibile per far crollare tutto quanto. Al di là di cosa sia giusto fare o meno. «Le richieste dei pm diventano automaticamente legge stampata sulle tavole di Mosè - continua Scarpati -. Ovviamente si tratta di ipotesi, ma il messaggio che arriva agli operatori è che il gioco non valga la candela, considerato che si ipotizza il dolo rispetto alla terapia svolta». Ciò porta ad una maggiore difficoltà ad agire sulla base dell’articolo 403 del codice civile, secondo cui «quando il minore si trova in una condizione di grave pericolo per la propria integrità fisica e psichica la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione». Scelte che espongono a responsabilità sia civile sia penale e che ora risultano molto più faticose. E ciò, per l’avvocato reggiano, è anche frutto dello strascico mediatico del caso Bibbiano. «Non ci si deve difendere dai processi, ma nei processi. E chi svolge un mestiere delicato con i bambini deve stare molto attento sottolinea -, perché va a toccare un interesse primario rispetto a qualsiasi altro interesse. Gli errori ci sono, ne ho visti tanti, ma non si può pensare che il sistema sia composto da demoni».

La soluzione, spiega, è velocizzare l’iter: «Se arriva una segnalazione su un possibile abuso o maltrattamento non può essere ignorata: la prima cosa da fare è sottrarre il bambino dal pericolo. Non si può perdere tempo. Dunque - sottolinea - bisogna riformare il 403, velocizzando tutto. Bisogna prevedere che la fase di processualizzazione arrivi molto velocemente, in pochi giorni, che le carte vengano contestualmente inviate ai genitori, che l’udienza non sia fissata tre mesi dopo, ma una settimana dopo e che la cosa venga risolta con un procedimento tra le parti e quindi con un avvocato del minore. Se immediatamente la questione viene messa in mano ad un dibattito tra gli esperti, nessuno potrà dire che la propria voce è stata ignorata».

Gli strascichi mediatici del caso Bibbiano hanno dunque fatto male ai servizi sociali. «E li abbiamo pagati tutti, a cominciare dai bambini», dice al Dubbio Gianmario Gazzi, presidente del Consiglio Nazionale dell’ordine degli assistenti sociali. «Nel momento in cui distruggo la credibilità di un’intera fetta istituzionale è chiaro che il rischio è che la gente si allontani e che non si rivolga agli assistenti sociali quando ne ha bisogno. Quel che serve - aggiunge - è un investimento strutturale. Gli ultimi veri risalgono alla legge Turco del 2000». E poi ci sono ancora molti territori sguarniti di assistenti sociali: nonostante la legge preveda la presenza di un operatore ogni 5mila abitanti, in almeno due terzi d’Italia se ne conta uno ogni 40mila. E ciò soprattutto al Sud. «Molte amministrazioni fanno bandi a titolo gratuito - aggiunge - ma ciò non è possibile. I problemi non sono solo economici, ma è più facile sborsare un assegno che investire in servizi». Ma non solo. In uno degli ultimi decreti è stato approvato un emendamento che prevede l’istituzione, da parte delle Regioni, di un piano per i servizi, proprio perché nella fase più acuta del lockdown in molti territori tutto è rimasto fermo. Ma al momento nessuna Regione si è adeguata alla direttiva. Ma nonostante le difficoltà e le incertezze, continua Gazzi, «non voglio neanche pensare che i colleghi si ritraggano dalle loro responsabilità. Il contesto in cui si esercita si prende in considerazione, ma mai e poi mai, se c’è un intervento da fare, credo che qualcuno si tirerebbe indietro. Non mi pare ci siano state segnalate situazioni del genere. Va detto, però, che nei mesi successivi al caso Bibbiano le minacce e le aggressioni sono aumentate. E non si può assistere a polemiche strumentali di quel tipo, né accettare battaglie ideologiche sulla pelle dei bambini».