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Una fase del processo su Bibbiano
«Non ho mai affermato che ci sia stata immutazione mentale sui minori. Ho solo detto che quelle domande erano potenzialmente rischiose, ma non posso affermare che ci sia stata». È questa la conclusione alla quale è giunta Melania Scali, consulente della pm del caso “Angeli e Demoni”, sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza. Incalzata dalle domande dell’avvocato Luca Bauccio, difensore della psicoterapeuta Nadia Bolognini, a giudizio assieme ad altre 16 persone nel processo sul cosiddetto Caso Bibbiano, Scali ha ammesso di non aver mai ascoltato i minori e di non aver valutato le Ctu che pure aveva a disposizione e dalle quali emergeva un quadro grave, comprensivo di una diagnosi di trauma.
Nel corso della lunga udienza, Bauccio ha chiesto alla teste se non fosse dovere del consulente o del perito prendere in esame tutta la documentazione fornita. Domanda alla quale Scali ha risposto negativamente, nonostante sia stata lei stessa, in un lavoro confezionato per l’ordine degli psicologi del Lazio, a sostenere il contrario, come evidenziato dal legale. In quel lavoro, intitolato “Le buone prassi”, Scali afferma in realtà che il perito deve prendere in esame tutta la documentazione, esplicitando il metodo, cosa che non è stata fatta nella relazione consegnata alla procura e confluita nei capi d’imputazione.
La teste ha ammesso che l’abuso infantile ha effetti a lungo termine e pertanto richiede un intervento urgente: tanto più è immediato, tanto più si riesce a scongiurare il pericolo di trasmissione transgenerazionale e di rivittimizzazione. Ma non solo: Scali non ha potuto prendere in considerazione molto materiale investigativo, tra cui molte sedute di Bolognini con i minori. Ed è stata smentita la teoria secondo cui la pendenza di un procedimento penale o la chiusura del procedimento penale impedirebbe una psicoterapia del trauma. Bauccio ha citato diverse fonti, tra le quali la Convenzione di Lanzarote, che all’articolo 14 impone di trattare il trauma immediatamente e indipendentemente dal processo penale. Fonti normative che confliggono radicalmente con la consulenza Scali, dove invece si rimprovera e si critica agli psicoterapeuti il fatto di essere intervenuti pur in assenza di un accertamento del fatto di reato che consentisse di individuare l’evento traumatico.
Una sola la fonte scientifica citata da Scali per imputare a Bolognini la volontà di cercare il trauma nascosto: Bessel van der Kolk, probabilmente il più rinomato esperto al mondo nel trattamento del trauma. Ma lo ha fatto stravolgendone il pensiero: Bauccio ha infatti dimostrato come lo studioso avrebbe addirittura affermato il contrario di quanto sostenuto dalla consulente, confermando, invece, le tesi di Bolognini, secondo cui il malessere del corpo spesso è il prodotto di un trauma di cui non si ha memoria. «Quindi l’unico autore scientifico citato da Scali commenta Bauccio - smentisce in realtà tutta la sua consulenza».
La teste aveva inoltre accusato Bolognini di non aver rispettato il silenzio nei bambini - mai conteggiato, come ha dichiarato -, ammettendo però in aula di non aver mai visto le immagini delle sedute e di non sapere, dunque, se quel silenzio, in realtà, fosse colmato dal linguaggio gestuale. «Quindi, quelle buone pratiche che lei indica nel suo scritto, in cui afferma che l’attività deve essere replicabile, verificabile - ha concluso Bauccio -, sono state integralmente smentite dal suo operato».
A controesaminare la teste anche Andrea Stefani, difensore, insieme a Valentina Oleari, di due affidatarie. Tra i compiti di Scali c’era anche quello di esaminare i colloqui tra affidatarie e minore, dovendo valutare eventuali modalità di dialogo pregiudizievoli per i minori. La consulente ha però analizzato ben 30 monologhi in auto di una delle due affidatarie, tratteggiando un profilo negativo della donna. Mentre sono stati ignorati - perché non forniti - tutti gli audio con la minore: su 800 progressivi, sono solo sette quelli forniti in cui c’è anche la bambina e poche decine quelle consegnate alla consulente. Ma non solo: a Scali non sono stati consegnati alcuni documenti contenuti nelle precedenti Ctu, dai quali si evinceva che in epoca precedente alla terapia con Bolognini la ragazza aveva prodotto dei materiali che rappresentavano una sessualizzazione precoce. Per la consulente, era corretto che le affidatarie informassero la terapeuta, dato che, dunque, smentisce anche l’ipotesi che sia stata Bolognini a inventare una sessualizzazione precoce, manifestata invece dalla ragazza nei suoi diari.