PHOTO
È DURATA SOLO 45 GIORNI
Le dimissioni della premier britannica Da oltre 5 anni Londra sprofonda nel caos
Poche ore dopo la sua nomina la regina Elisabetta lasciava questo mondo.
Non proprio un bel presagio periz Truss, approdata a Downing street dopo gli scandali che hanno travolto a raffica l’istrionico Boris Johnson, con tante ambizioni e nessun senso della realtà. Voleva fare dell’Inghilterra «la Singapore dell’Occidente» e invece è rimasta in carica appena 45 giorni, il mandato più breve e umiliante nella storia del Regno, un autentico massacro politico, un regolamento di conti tra bande interno ai tories, con lo stilicidio di dimissioni dei ministri chiave, e un trionfo dell’incompetenza pubblica, sullo sfondo di una scena nazionale del dopo Brexit che sembra impazzita. Dopo David Cameron, Theresa May e appunto Johnson è il quarto premier che cade negli ultimi cinque anni. Tutti esponenti del partito conservatore, il tragicomico protagonista dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea.
Truss è naufragata ancora prima di iniziare, presentando alla Camera dei comuni una legge finanziaria pittoresca, chiamata “mini budget” che comportava la riduzione massiccia delle tasse per i ceti più ricchi e per il mondo dell’industria combinata con un piano di colossale di aiuti alle famiglie per fronteggiare la crisi energetica.
Come intendeva finanziare il piano?
Nelle vaghe previsioni di crescita e tramite dei prestiti, roba da paesi in via di sviluppo. Anche perché oltremanica l’inflazione sta diventando un problema serio con percentuali vicine al 10% destinate a crescere nei prossimi mesi.
Il panico si è subito diffuso tra i mercati, i tassi di interesse sono schizzati alle stelle con inquietanti proiezioni sul debito britannico. La stessa maggioranza dei deputati conservatori ha criticato con asprezza il pacchetto di Truss, facendo salire la tensione interna a livelli intollerabili.
I tecnici e i funzionari dell’Office for Budget Responsability, storicamente neutrali e attento soltanto alla coerenza del bilancio dello stato, hanno tentato di dire la loro alla premier, spiegando che le sue ricette economiche sono irrealizzabili e che avrebbero prodotto uno scenario disastroso per il Paese.
Con arroganza e ottusità Truss non ha voluto ascoltare nessuno, non ha modificato di un comma il mini budget, al contrario si è fatta ospitare dalla Bbc per “parlare alla nazione” e difendere il suo programma a spada tratta.
Ribadendo che le coperture necessarie ad attuarlo sarebbero venute da prestiti del Fmi e della Banca di Inghilterra e pazienza per il debito pubblico: «Meglio fare qualcosa che non fare nulla» ha affermato tra lo sconcerto generale.
Persino il presidente degli stati Uniti Joe Biden si è permesso di dire la sua, qualificando come «errore» la finanziaria di Liz Truss. Non si ricorda a memoria d’uomo la Casa Bianca che entra a gamba tesa sule scelte di politica economica del suo principale alleato. Anche questo è un segno che a Londra stia regnando il caos. Dopo tre settimane di calvario sotto il fuoco incrociato dei media, dell’opposizione laburista e soprattutto dei suoi compagni di partito Truss ha licenziato il ministro delle finanze Kwasi Kwarteng. Il successore Jermy Hunt di fatto seppellisce il piano economico della premier annunciando 38 miliardi di sterline di nuove tasse. Calmata la tempesta sul fronte economico Truss perde un altro pezzo: la ministra dell’interno Suella Braverman, un “falco”, osteggiata dall’ala moderata dei tories per le sue sortite ai limiti della xenofobia. Le ragioni ufficiali delle dimissioni suonano false come una moneta da sette euro: Braverman avrebbe commesso un «errore», inviando un documento ufficiale del governo tramite la sua e- mail personale a un altro deputato.
Gli osservatori e analisti parlano di “crisi auto- inflitta” e di crepuscolo per un partito conservatore diventato una corte di intrighi shakespeariani, e non hanno tutti i torti. Secondo tutti i sondaggi, se si votasse domani il partito laburista vincerebbe le elezioni a mani basse.
Ma è anche il contesto sociale britannico che produce una endemica instabilità da quel 23 giugno del 2016 quando la maggioranza dei britannici decise di abbandonare l’Unione europea. Certo, nel frattempo c’è stata la pandemia di Covid 19 e successivamente la guerra di Putin in Ucraina, ma la cornice della Brexit aggrava tutte le crisi. A cinque anni e mezzo dal referendum gli effetti sull’economia sono pesantissimi, l’economia è stagnante, i prezzi dell’import dall’Ue sono aumentati, alcuni articoli di commercio sono difficilmente reperibili sul mercato interno, mentre la Banca centrale dallo scorso agosto parla senza mezzi termini di «lunga recessione».