Una pronuncia della Cassazione ripropone il tema del corretto calcolo dei compensi professionali nell’ambito delle conciliazioni giudiziali. La recente ordinanza 8576/2024 è stata oggetto di discussione nella camera di consiglio dello scorso 5 marzo, presieduta da Rossana Giannaccari. Secondo quanto stabilito dalla legge, l’avvocato che partecipa a una conciliazione giudiziale o a una transazione deve percepire un compenso pari all’importo stabilito per la fase decisionale aumentato del 25%.

Tuttavia, una controversia sorta in seguito a un caso di conciliazione ha portato alla luce un’errata interpretazione di questa normativa da parte di un Tribunale. Nel caso specifico, un avvocato aveva svolto attività difensiva per i convenuti in un giudizio civile che si era concluso con la conciliazione delle parti. Il Tribunale aveva deciso di liquidare il compenso per la fase di conciliazione nella misura del 25% di quanto sarebbe spettato per la fase decisionale. Tuttavia la Cassazione ha accolto il ricorso dell’avvocato, evidenziando che l’interpretazione corretta delle norme prevede non solo il compenso per la fase decisionale non svolta ma anche un aumento del 25% di tale compenso.
La decisione della Suprema corte si basa su una consolidata giurisprudenza che interpreta l’art. 4 del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 nel senso di riconoscere all’avvocato un ulteriore compenso, rispetto a quello spettante per l’attività precedentemente svolta, pari al compenso liquidabile per la fase decisionale, di regola aumentato fino a un quarto.
La Cassazione ribadisce come il principio vada inteso per favorire la definizione conciliativa delle controversie, sottolineando l’importanza di incentivare e remunerare adeguatamente l’attività degli avvocati che contribuiscono a giungere a una soluzione pacifica dei contenziosi.
Pertanto, l’ordinanza del Tribunale di Torino è stata cassata e la controversia è stata rinviata al medesimo Tribunale, ma in diversa composizione.