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Il numero uno di Facebook, Mark Zuckerberg, nella sua audizione al Senato ha difeso lo sforzo del suo social network per contrastare la disinformazione online durante il periodo delle elezioni Usa. Zuckerberg e l’ad di Twitter, Jack Dorsey, sono stati convocati dalla Commissione Giustizia per rispondere del loro operato durante i giorni del voto. Le due reti sociali sono accusate dai Repubblicani di essere faziose a danno dei conservatori e dai Democratici di non fare abbastanza per combattere l’odio online e le bufale. «Abbiamo preso seriamente la nostra responsabilità nella protezione dell’integrità di questa elezione», ha detto Zuckerberg, «abbiamo seguito le politiche e le procedure che avevamo preparato per proteggere il processo democratico nel periodo precedente e successivo alle elezioni e abbiamo lavorato duro per applicarle in maniera equa e coerente». «Assicurare l’integrità delle elezioni è una sfida continua per le piattaforme e siamo impegnanti a continuare a migliorare i nostri sistemi ma siamo fieri del lavoro che abbiamo fatto negli scorsi quattro anni per prevenire interferenze nelle elezioni e sostenere la nostra democrazia», ha detto ancora Zuckerberg. L'ad ha risposto negativamente alla domanda del senatore democratico Richard Blumenthal, che gli aveva chiesto se poteva impegnarsi a bandire Steve Bannon, ex stratega di Donald Trump, dalla piattaforma. Bannon aveva pubblicato un post nel quale invitava alla decapitazione del virologo della Casa Bianca, Anthony Fauci, e del direttore dell’Fbi, Christopher Wray. Facebook aveva rimosso il contenuto ma non aveva bandito Bannon. «Non lo abbiamo fatto perché servono diverse violazioni per essere banditi, l’esclusione automatica del profilo scatta per i contenuti sul terrorismo o lo sfruttamento dei minori», ha spiegato Zuckerberg. Nel caso di Bannon, invece, le politiche di Facebook non prevedevano un ban immediato, ha aggiunto il manager, evitando invece di rispondere direttamente alle domande della senatrice democratica Dianne Feinstein che gli chiedeva conto del non aver cancellato i post nei quali il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, si attribuiva la vittoria delle elezioni presidenziali. «Abbiamo intrapreso iniziative molto significative nel campo della lotta alla disinformazione, mostriamo informazioni aggiuntive sulle elezioni e siamo andati piuttosto lontano nell’aiutare a distribuire informazioni corrette sul voto», è stata la risposta di Zuckerberg. Feinstein ha poi chiesto a perché avessero impiegato 24 ore a cancellare il gruppo «Stop the Steal», ovvero «dopo che aveva già fatto molti danni», guadagnando 100 mila membri in un giorno e mobilitando sostenitori armati di Trump nella protesta contro i presunti brogli di cui il presidente accusa i Democratici. «Sono molto preoccupato dalla disinformazione, specialmente quella che può incitare alla violenza», ha risposto Zuckerberg, «abbiamo rimosso quel gruppo, la gente non vuole vedere disinformazione». «La gente non vuole che Facebook sia arbitro della verità né noi crediamo che sia un ruolo appropriato per noi», ha sottolineato il numero uno di Facebook, spiegando come la piattaforma si appoggi a diversi operatori del settore (tra cui agenzie stampa come Ap, Afp e Reuters) per effettuare i fact-checking sui contenuti la cui credibilità è dubbia. Ma poi ammette che la maggior parte dei dipendenti dell’azienda sono «in qualche modo di sinistra, forse qualcosa di più che in qualche modo». Zuckerberg stava rispondendo alla domanda del senatore repubblicano Ben Sasse, il quale ha accusato Facebook di essere sbilanciato a sfavore dei conservatori e ha sostenuto che «avere opinioni conservatrici è un marchio d’infamia» nell’industria della Silicon Valley. Zuckerberg ha replicato che l’obiettivo di Facebook è «essere una piattaforma per tutte le idee» e che è proprio la prevalenza di uno schieramento ideologico tra i suoi dipendenti a far sì che «venga posta particolare cura nell’evitare pregiudizi» nella moderazione dei contenuti. Zuckerberg, infine, ha risposto in modo negativo al senatore Josh Hawley che gli chiedeva, durante l’audizione in Commissione Giustizia, se avesse potuto rivelare la «lista nera» di soggetti, hashtag, contenuti e siti internet tenuta dai moderatori del social network. «Ci riaggiorneremo, sarebbe meglio discuterne prima con il mio team», ha risposto Zuckerberg al senatore, il quale ha replicato che il Congresso potrebbe ottenere queste informazioni con un procedimento legale ma gli sta offrendo la possibilità di farlo volontoriamente. Hawley ha definito «del tutto inaccettabile e del tutto prevedibile» la risposta di Zuckerberg, accusandolo di aver negato in precedenza l’esistenza di un simile elenco. Il fondatore di Facebook ha poi negato di coordinare le politiche di moderazione dei contenuti con Google, Twitter e le altre grandi compagnie digitali. «Ci coordiniamo sulla sicurezza quando ci sono segnali di un attacco terroristico o di un tentativo di influenza di un governo straniero», ha spiegato pur non escludendo che «a livello di dipendenti, ci si confronti tra diverse aziende sulle politiche di moderazione». Hawley ha quindi chiesto se viene tenuto un registro di ogni volta che un dipendente di Facebook accede alla comunicazione o ai dati personali degli utenti. Zuckerberg ha affermato di non saperlo ma di ritenere di no.