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Prendendo spunto da una vecchia telenovela brasiliana si potrebbe dire che anche negli Stati Uniti i ricchi piangono. In questo caso a versare lacrime amare è Donald Trump, ex presidente e sfidante ufficiale di Joe Biden alle elezioni del prossimo novembre.
Condannato per il reato di frode civile, ai danni di istituti di credito e enti assicurativi, i cosiddetti “asset gonfiati”, deve pagare la multa monstre di 454 milioni di dollari. Gli avvocati del tycoon hanno spiegato davanti alla corte d'appello di New York che è impossibile sborsare così tanto denaro come garanzia per coprire una cauzione necessaria a sospendere la pena stabilita dalla sentenza e dunque faranno ricorso.
Il team legale che difende l'ex presidente infatti ha depositato un documento nel quale si porta avanti la tesi che ottenere una cauzione per l'intero importo non è possibile nelle circostanze presentate. Inoltre sommando anche gli interessi maturati il candidato repubblicano alla presidenza ha davanti a sé uno spettro da 456,8 milioni. Complessivamente, Trump e i suoi co-imputati (tra cui la sua azienda e i massimi dirigenti di essa), devono 467,3 milioni di dollari.
Per ottenere un'obbligazione, sarebbero tenuti a fornire garanzie per un valore di 557 milioni. Troppo forse anche per il multimilionario che dovrà trovare il modo di ottenere un qualche tipo di aiuto in vista dell'esecuzione della sentenza il 25 marzo. Le accuse e la condanna sono molto gravi, il giudice Arthur Engoron ha stabilito a febbraio che Trump, insieme ai suoi più stretti collaboratori, compresi i figli Eric e Donald Jr, hanno tramato per anni per ingannare banche e compagnie di assicurazioni gonfiando la propria ricchezza manipolando i rendiconti finanziari utilizzati per garantire prestiti.
Tra le altre sanzioni, i giudici hanno posto rigide limitazioni alla capacità della società, la Trump Organization, di controllare le attività di business. Il tycoon sta dunque muovendo tutte le leve a sua disposizione a cominciare dalla corte d'appello intermedia dello stato. Un meccanismo legale con cui verrebbe messa in pausa la riscossione in attesa dell'accoglimento del ricorso. Gli avvocati di Trump avevano tentato di patteggiare una cifra di 100 milioni di dollari, ma un altro magistrato, Anil Singh, aveva rigettato l'istanza.
Il rischio è che si possa procedere a una sorta di maxi pignoramento dei beni, la strategia della difesa dunque si basa sulla presunta irragionevolezza della sentenza. A questo proposito è stata portata a discarico una dichiarazione giurata di un noto agente immobiliare, assunto per ottenere un'obbligazione finanziaria. Il professionista ha scritto nel documento custodito dal tribunale, che poche società di cauzione prenderebbero in considerazione l'emissione di una cifra delle dimensioni richieste. Secondo altri esperti contattati dai legali, le società che forniscono obbligazioni neanche accetteranno beni materiali come gli immobili a garanzia, ma esigeranno solo contanti o equivalenti di cassa.
Per uno dei maggiori broker di Wall Street, Gary Giulietti, un importo di queste dimensioni si vede raramente, se non mai. Argomentazione che non sembra però convincere il procuratore generale di New York, Letitia James, democratica, la quale ha dichiarato che confischerà i beni di Trump se non sarà in grado di pagare.
Naturalmente il caso è diventato materia di scontro elettorale, Trump nega di aver commesso illeciti, sostenendo che il procuratore James lo sta prendendo di mira per motivi politici. Ma in ballo c'è un altro ricorso contro un verdetto di diffamazione da 83,3 milioni (nel caso delle presunte molestie alla scrittrice E Jean Carroll). Trump è inoltre a processo per il tentativo di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020 e quello relativo ai presunti pagamenti illegali per il silenzio di una pornostar prima delle elezioni del 2016.