Kristi Noem, detta “la mastina”, è la Segretaria alla sicurezza interna degli Stati Uniti (homeland security), nota al grande pubblico per i video in cui appare dietro dei gabbioni zeppi di migranti irregolari ringhiando: «Questa è la fine che fanno i terroristi!». Astro nascente del nuovo partito repubblicano, è uno dei volti scelti da Donald Trump nella sua guerra senza quartiere all’immigrazione clandestina. 

Martedì scorso, durante un’audizione al Senato ha difeso la linea di tolleranza zero dell’amministrazione con il solito piglio da combattimento ma con poca cognizione del diritto. Infatti secondo Noem il principio dell’habeas corpus «dovrebbe essere utilizzato dal governo per espellere più rapidamente i migranti irregolari dagli Stati Uniti». A quel punto la senatrice democratica Maggie Hassan le ha chiesto se conoscesse il significato giuridico dell’habeas corpus ricevendo una risposta disarmante: «È un diritto del presidente a mandare via persone dal Paese e a sospendere i loro diritti».

Oltre a non aver capito di cosa stia parlando, Noem ha probabilmente confuso le stesse consegne di Trump il quale l’habeas corpus vorrebbe rimuoverlo proprio perché protegge i cittadini dalle ingiuste detenzioni. Per comprendere appieno la portata del paradosso occorre fare un passo indietro e tornare alle radici storiche di un principio giuridico tanto antico quanto vitale, oggi protetto dalla Costituzione statunitense e da molte altre carte fondamentali delle democrazie moderne.

L’espressione latina habeas corpus deriva dalla formula iniziale di un ordine giudiziario emesso da un tribunale, con cui si chiede che un detenuto sia portato davanti a un giudice per verificare la legittimità della sua detenzione. L’origine del principio risale all’Inghilterra medievale: il primo uso documentato di simili formule è del XIII secolo, ma la consacrazione giuridica più nota si ha nel 1679 con l’Habeas Corpus Act, votato dal Parlamento inglese sotto il regno di Carlo II. La legge nasce per arginare gli abusi del potere regio, in particolare l’arresto arbitrario dei sudditi sgraditi al monarca. Stabiliva che nessun cittadino potesse essere imprigionato senza un’accusa formale e senza la possibilità di essere ascoltato da un tribunale.

Il principio si afferma presto come baluardo irrinunciabile dello Stato di diritto. Lo troviamo al centro della riflessione illuminista e dei primi esperimenti costituzionali del Settecento. In particolare, la Costituzione degli Stati Uniti – approvata nel 1787 e che tanto dovrebbe essere cara alla signora Noem– ne sancisce l’inviolabilità all’articolo I, sezione 9: «Il privilegio dell’habeas corpus non sarà sospeso, se non quando, in casi di ribellione o invasione, la pubblica sicurezza lo richieda». È vero che Trump parla spesso di «invasione» riferendosi ai migranti, ma si tratta di un iperbole politica e non di un stato di cose reale.

Negli Stati Uniti come altrove non è solo un principio astratto, ma una garanzia concreta che ogni individuo – cittadino o straniero – può invocare per contestare la propria detenzione davanti a un giudice. È il fondamento stesso della separazione dei poteri: l’autorità esecutiva non può privare qualcuno della libertà personale senza il controllo dell’autorità giudiziaria.

Solo una grande ignoranza (o una grande malafede) può indicarlo come strumento per accelerare l’espulsione di migranti irregolari; al contrario, è il mezzo per cui questi ultimi possono difendersi dagli abusi di potere. La giurisprudenza americana ci mostra migliaia di migranti in detenzione ricorrere proprio all’habeas corpus per fermare deportazioni sommarie, condizioni di reclusione disumane o privazioni arbitrarie dei diritti. Confonderlo con un grimaldello in mano all’esecutivo equivale a rovesciare il tavolo del costituzionalismo liberale. È come dire che la libertà di stampa serva a censurare i giornalisti.

In questo senso, la dichiarazione di Noem si inserisce in una retorica più ampia già emersa durante il primo mandato di Trump: l’idea che le garanzie costituzionali non siano un limite al potere statale, ma strumenti da reinterpretare per rafforzarlo. In nome dell’“ordine”, della “sicurezza”, del “popolo sovrano”, si teorizza un’erosione progressiva delle tutele individuali,

Dopo l’11 settembre, l’amministrazione di George W. Bush cercò di limitarne l’applicabilità ai detenuti di Guantánamo, sostenendo che i non cittadini catturati all’estero non potessero beneficiarne. La Corte Suprema intervenne più volte – da Rasul v. Bush (2004) a Boumediene v. Bush (2008) – per riaffermare che il principio dell’habeas corpus non conosce confini geografici o status di cittadinanza: è uno standard minimo di civiltà giuridica.