Europa in pezzi? Potrà esserlo ancor di più con il referendum di giovedì, ma è lo spirito europeo che è comunque cambiato in questi anni mentre i più giovani non hanno conosciuto e quindi neppure immaginano la realtà di un continente in guerra o diviso da troppi confini.Ricordo bene la prima volta che a Berlino passai all’Est: scendevi dalla metropolitana e il branco era avviato in un lungo camerone sotterraneo e puzzolente dove consegnavi il passaporto e aspettavi finchè l’altoparlante non urlava – in tedesco – «Italien…» e via con il tuo numero. Ti consegnavano il visto e un sacchettino (obbligatorio) di carta moneta e di monetine che sembravano di plastica. Per passare dovevi infatti cambiare un minimo di marchi “buoni” (ovvero quelli dell’ovest), con quelli “democratici” che erano ufficialmente quotati alla pari, venti volte il loro valore reale. Erano passati trent’anni dalla fine delle guerra ma mentre a Berlino Ovest era un fiorire di grattaceli, all’Est c’erano ancora le rovine della guerra per strada, il filo spinato per stare lontani dal “muro” che separava in due la città, poche auto in giro; solo il museo di Priamo e dell’antica Assiria rendeva doverosa una visita “di là”.Ricordo un Praga grigia e fredda, sporca, così diversa dalla città di oggi piena di turisti allegri e scamiciati ma anche Budapest, silenziosa e senza gioia. D’altronde bastava superare Gorizia per vedere come il tempo si fosse fermato con i prezzi della benzina che erano una pacchia in una Jugoslavia orgogliosa del suo non allineamento ma anche solo passare da Ventimiglia verso la Francia era già un divisione visibile, presidiata, solenne. Si nascondevano i soldi nei vestiti, ma non i grandi capitali, anche solo quanto necessario per il viaggio, perché non c’erano le carte di credito e per acquistare valuta l’Ufficio italiano cambi verificava con occhiuta attenzione ogni prelievo. Un’Europa dai prezzi diversi e con diverse qualità della vita, ma anche visibilmente lontana e dove il concetto di viaggio era già un’impresa, una difficoltà, a volte addirittura un’avventura.Tutti ce la prendiamo oggi con l’euro, ma ci siamo dimenticati di quando la lira perdeva valore giorno per giorno e sembrò già un successo quando si cominciò a parlare di ECU e cambi fissi, di Mercato Comune e di progetto Erasmus. Pochi allora andavano all’estero e ancor meno per frequentare una università. In Europa c’erano centinaia di migliaia di italiani, ma tanti vivevano ancora in baracche, braccia utili solo a scavare carbone e comunque emarginati, senza diritti, considerati zoticoni ed ignoranti come molto spesso – purtroppo – lo erano, perché senza istruzione, semianalfabeti strappati dal bisogno alle campagne del sud.Chi è senza memoria non può ricordare l’odore dei vagoni ferroviari che partivano lenti dalla Sicilia o dalla Calabria, risalivano la penisola e poi ancora più su attraverso la Svizzera, la Germania, verso il Belgio o le miniere della Ruhr. Anni per emanciparsi, per convivere, per difendere un po’ di dignità in un ambiente ostile e senza rondini, dove tutto sembrava nemico. C’era già la pace dopo due guerre mondiali che avevano visto alla fine la sconfitta di tutti perché era stata l’Europa intera a perdere e a trovarsi distrutta e in macerie, forte solo di volontà di risalire.L’Europa Unita era nata così, con l’Italia che prestava braccia e riceveva carbone, con Francia e Germania che decisero che - alla fine - il Reno era e poteva essere solo un fiume e non una perenne serie di trincee. Con diffidenza, speranza, incredulità: lentamente ci si cominciò a parlare, a capire, a crescere. Crollò il “muro” e fu tutto subito diverso, incredibile, possibile. La realtà sembrava fin troppo facile, naturale e scontata. Come una palla che cresceva a dismisura crollavano i confini e si ingrandiva l’Europa in un processo che sembrava inarrestabile e felice. Poi vennero l’Euro, la recessione, la crisi, il terrorismo, le ondate migratorie e l’Europa si arenò senza radici vere, tra indici di borsa, Brexit, nuovi muri e insofferenze.Il sogno che è stato di una generazione forse è finito, eppure dicono che i sogni non finiscono mai.