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price cap gas petrolio
UNO. C’è una gran confusione in Europa. Oppure, forse, no. Dipende tutto dal punto di vista di osservazione che si sceglie per le proprie analisi. Si pensi al price cap, cioè al tentativo che si sta consumando proprio in queste ore di mettere un costo massimo, un vero e proprio tetto, per il prezzo di vendita e di acquisto del gas, questione che ( in questo momento) sembra stia dilaniando l’intera Ue contrapponendo quanti sembrano avvantaggiarsi da prezzi consistenti a quanti avvertono il lievitare dei costi, elementi di possibili crisi di gravità inedita.
Tra le nazioni che fanno parte dell’Ue l’accordo non c’è: alcune il gas lo hanno in abbondanza nei propri territori, dove si estrae o arriva facilmente, e se vendono a maggior prezzo è tutto grasso che cola; altre devono comprarlo per non scivolare nella paralisi produttiva e se il prezzo sale si ritrovano nei guai. E sullo sfondo dei dissensi riappare la dialettica malata che mette insieme nazionalismi economici e politiche populiste interamente concentrate nella difesa di interessi immediati. Quindi l’Ue, che non ha i poteri di uno Stato nazionale, è costretta a prendere tempo. Anche se è vero ( e qualcosa dovrebbe pur significare) che aver messo all’ordine del giorno dei paesi dell’Ue l’argomento price cap ha, intanto e subito, abbassato il prezzo del gas, come ha osservato il ministro italiano della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.
Ma c’è un problema più di fondo ed è inutile girarci intorno. Tutte le questioni particolari che si accumulano dentro l’area dell’Ue, con le attuali norme, sembrano destinate a diventare col passare del tempo sempre più aggrovigliate e irrisolvibili. Nel migliore dei casi provocherebbero costose paralisi. E l’intero processo potrebbe anche sfociare in una frantumazione di gran parte dell’Europa riducendola a pezzi acquistabili da altre potenze mondiali. In fin dei conti, lo ricorda Jacques Le Goff in testa a un capitolo di un volume che spiega l’Europa ai ragazzi, siamo «il più piccolo dei continenti». La contraddizione che provoca caos, furbizie e incertezze di questi giorni è nota a tutti: l’Ue ha i compiti di un vero e proprio Stato sovrano, come quando il potere viene sostenuto dal consapevole e libero consenso della maggioranza dei suoi abitanti che lo esprime col voto, ma è in realtà priva dei poteri che servono a uno Stato sovrano e democratico di funzionare.
Com’è noto a tutti, i fondatori dell’Europa erano assolutamente consapevoli di quel che serviva perché mai più in quest’angolo di mondo vi fosse un’altra tragedia come quella della Prima e/ o della Seconda guerra mondiale. Ma la permanenza di tracce nazionaliste ( e non soltanto quelle francesi connesse al gollismo) bloccarono la costruzione di un’Europa adeguata a fronteggiare per intero le sfide via via moltiplicate e radicalizzate da nostro divenire storico.
La guerra di Putin ha riaperto in modo brutale la questione della sovranità europea. L’argomento era già sotto gli occhi di tutti ma la radicalità della guerra ha riproposto in modo inedito e urgente la questione. Sono anni ormai che tutti gli specialisti in tutta Europa ( in Italia, da Sergio Fabbrini a Gianfranco Pasquino a Sabino Cassese e a molti altri) spiegano che l’Ue non può funzionare se continuerà a pretendere l’unanimità di tutti gli Stati che la compongono su ogni singola decisione da assumere.
Al momento l’Ue conta un po’ meno di 450 milioni di abitanti. È possibile che uno degli Stati che di essa fa parte, magari con meno di 10 milioni di abitanti (per esempio, l’Ungheria che di abitanti ne conta 9 milioni e mezzo) possa paralizzare o impedirne le scelte che hanno a che fare con l’interesse di quasi mezzo miliardo di persone? Come europei ci siamo convinti che diventando sempre più numerosi nell’Ue avremmo assimilato e cancellato le differenze. Invece abbiamo spesso alimentato scetticismo sfiducia e timori e non abbiamo tenuto conto, spiegano gli specialisti, che più il mercato unico si dilata più è urgente una politica democratica capace di decidere.
DUE. Ma il pessimismo a cui spinge l’accavallarsi delle notizie contradditorie sul price cap potrebbe rivelarsi anche la vigilia di modifiche profonde e non necessariamente negative. La stessa preoccupazione con cui in Europa si guarda al prossimo voto italiano, e il timore che esso intensifichi spinte nazionaliste che potrebbero aggravare la situazione europea, è il segno che sta crescendo la voglia di un’Europa dove ai nazionalismi vengano tarpate le ali. La guerra ha moltiplicato rapidamente i problemi e la loro percezione. In poco tempo si è passati dalla paura di un dilagare in Europa di Putin all’evidenza della crisi russa. Non è detto che l’Europa non possa fare il salto politico di cui ha assoluta necessità: quello di un continente che decide democraticamente secondo il voto liberamente espresso dalla maggioranza dei suoi cittadini.