Sei settimane per votare in sette distinti passaggi, circa miliardo di persone registrate nelle liste elettorali. La più grande democrazia del mondo, anche se per molti versi solo in termini formali, è stata chiamata a rinnovare le sue istituzioni dominate nell’ultimo decennio dal BJP del premier nazionalista indu Narendra Modi. Questa volta però il vantaggio di Modi è contenuto, lontano dal trionfo sperato e tutto indica che il governo potrebbe essere formato solo con una coalizione. Niente maggioranza assoluta, una svolta storica perché tecnicamente servono 400 seggi ma lo schieramento del BJP è in testa con poco meno di 300, mentre i partiti di opposizione seguono con circa 230 seggi. Un partito o un'alleanza che ne ottiene più di 272 nel parlamento di 543 membri può formare il governo.

In ogni caso Modi sta già festeggiando parlando di «impresa storica». I leader dell'opposizione hanno subito considerato colloqui per formare una propria coalizione che dia vita ad un esecutivo diverso da quello attuale. In questo senso si aspettano le mosse del principale rivale di Modi, il Congresso Nazionale Indiano guidato da Rahul Gandhi, quest'ultimo ha dato vita a uno schieramento molto variegato con dozzine di altri partiti politici che hanno inflitto, in molti casi, gravi perdite al BJP in stati chiave.

Diversi analisti hanno notato che il verdetto elettorale ha sollevato molti interrogativi sulla strategia del premier uscente. Mentre si svolgeva la lunga campagna elettorale indiana, Modi, carismatico e polarizzante, ha concentrato sempre di più l'accento sull'allarmismo circa un presunto complotto per consegnare le risorse della nazione ai musulmani, a spese della sua maggioranza indù. Nel frattempo, l'opposizione ha cercato di mettere all'angolo Modi sulle politiche economiche del suo governo: infatti mentre il paese ha fatto registrare la più rapida crescita del mondo, gli elettori invece hanno espresso già nei sondaggi pre voto che l'inflazione elevata e la disoccupazione erano le loro principali preoccupazioni.

Lo slogan della campagna elettorale del BJP, "Abki baar, 400 paar (Questa volta, più di 400)", non nascondeva una certa sicurezza ma era malriposta. Quasi che Modi avesse perso il contatto con una realtà in cui l'opinione pubblica indiana comincia a fare i conti con l'impennata dei prezzi, l'aumento della disuguaglianza di reddito peggio che durante il dominio coloniale britannico. Una specie di sonnambulismo del Bjp che lo ha portato a perdere la maggioranza assoluta con un brusco risveglio.

La chiave per formare il prossimo governo sarà detenuta probabilmente da due partiti regionali : Janata Dal-United, guidato da Nitish Kumar nello stato del Bihar; e il Telugu Desam Party, guidato da Chandrababu Naidu nell'Andhra Pradesh. Il TDP è in testa con 16 seggi e il JD(U) con 12. Entrambe le formazioni politiche sono state in precedenza alleate con il partito del Congresso.

Mentre il BJP ha fatto notevoli progressi nel sud dell'India, in particolare in Kerala, i suoi numeri complessivi sono risultati molto deludenti in regioni centrali di lingua hindi, che invece aveva spazzato via nelle ultime elezioni. Nell'Uttar Pradesh, il più grande stato dell'India, un fattore determinante per chi governa a livello nazionale, il partito nazionalista indù ha perso nel distretto parlamentare di Faizabad, sede del controverso Tempio di Ram, costruito sulle rovine della Babri Masjid del XVI secolo. Un luogo sacro inaugurato da Modi a gennaio, facendone un suo fiore all'occhiello per mobilitare gli elettori indù. Il partito ha perso anche il seggio chiave di Amethi, dove il ministro federale Smriti Irani è stato sconfitto. Sorride invece Rahul Gandhi che ha partecipato alle elezioni nella vicina circoscrizione elettorale di Rae Bareli e ha vinto il seggio con un margine più che doppio rispetto a quello di Modi.