Il 3 febbraio scorso a La Valletta, a Malta, si è tenuto un vertice dei paesi Ue riguardante l’accordo con la Libia per fermare il flusso dei migranti che sfidano il mediterraneo centrale su barche di fortuna per arrivare, se va bene, sulle coste italiane. Si tratta dell’unica rotta rimasta praticabile dopo l’accordo dell’Ue con la Turchia di due anni fa che ha sigillato il corridoio balcanico. Tra i punti affrontati nella discussione maltese, è emersa anche l’esigenza di controllare l’attività e la natura delle Ong che soccorrono i migranti in difficoltà proprio al largo delle coste libiche.

In realtà lo scorso anno l’agenzia europea Frontex aveva redatto un rapporto, reso pubblico dal Financial Times nel quale si adombravano dubbi, per non parlare di vere e proprie accuse, circa l’attività delle Ong. Secondo Frontex si poteva pensare ad accordi tra scafisti e organizza- zioni umanitarie, i mercanti di esseri umani infatti spingevano i barconi a partire proprio perché sapevano della presenza delle navi di soccorso. Il rapporto parlava infatti di «chiare istruzioni prima della partenza sulla direzione da seguire per raggiungere le imbarcazioni delle Ong, le cui navi spesso si spingerebbero vicino la costa libica come dei taxi» . Inoltre, e la cosa sarebbe ancora più grave, i migranti sarebbero istruiti a non fornire le proprie generalità o i luoghi di provenienza per non tradire gli stessi scafisti durante la fase di debriefing.

Organizzazioni non governative come Medici senza Frontiere avevano immediatamente risposto respingendo l’accusa al mittente parlando di se stesse come «non la causa, ma una risposta ad una crisi umanitaria» provocata proprio da Frontex che non riusciva a prevenire le morti di migranti in mare. Le Ong hanno messo in evidenza come le navi umanitarie operino fin sotto le acque libiche intercettando i barconi prima dell’Sos e dei naufragi che solo nel 2016 hanno visto affogare 5mila persone. La polemica ora però si arricchisce di un nuovo elemento, la Procura di Catania infatti ha aperto un’inchiesta, per il momento solo conoscitiva, sulle attività di soccorso in mare da parte di Ong nel Canale di Sicilia. La notizia è stata resa nota dal quotidiano la Repubblica a cui ha risposto il 17 febbraio il procuratore Carmelo Zuccaro. Il magistrato ha spiegato che si vuole capire «chi c’è dietro tutte queste organizzazioni proliferate negli ultimi anni, da dove vengono i soldi che hanno a disposizione e soprattutto che gioco fanno».

Attualmente operano nel mediterraneo diverse organizzazioni, da Msf passando per Save the Children ( quasi 3000 naufraghi tratti in salvo nel 2016), Sea Watch o il progetto Moas. Le ultime due sono proprio il tipo di ong sotto la lente d’ingrandimento della procura siciliana. Si tratta infatti di iniziative nate da privati cittadini che hanno impiegato capitali propri e che vivono grazie a donazioni come nel caso dei tedeschi di Sea Eye e Jugend Rettet o degli spagnoli di Proactiva Open Arms. Al momento comunque non esistono notizie di reati e l’autorità giudiziaria ha precisato che non vengono messe in discussione «organizzazioni di chiara fama» delle quali si manifesta apprezzamento per il «grande lavoro per l’impegno e la professionalità».

L’indagine e il monitoraggio della Procura catanese è portato avanti «insieme a Frontex e alla Marina militare», un punto che lascia nell’aria il sospetto che forse non sarebbero tanto graditi eventuali testimoni sullo sviluppo dell’accordo con la Libia sul quale proprio le Ong hanno sollevato più di una critica. Il capo di Stato maggiore, generale Claudio Graziano, ha fatto intendere che i militari sono pronti a gestire la situazione. Le sue parole non lasciano dubbi: «A terra siamo impegnati con circa 300 uomini, è un messaggio di sostegno alla Libia, e quindi contribuisce alla stabilità del Paese. E, indirettamente, aiuta anche nella lotta contro il terrorismo. E poi c’è già un grosso impegno contro la rete degli scafisti, nel controllo delle vie di comunicazione per contrastare il traffico degli essere umani, controllare il flusso dei migranti, con le missioni Mare Sicuro e Sophia».