Il più grande blocco di persone e di attività economiche del mondo. Il lockdown indiano. Centinaia di persone si sono messe in viaggio dalle metropoli, una per tutte la capitale economica, Mumbay, verso i loro villaggi di provenienza.

Lo scopo: trovare una casa dove dormire e mangiare mentre l’economia dell’India si bloccava per decisione del primo ministro Narendra Modi. Modi è esponente della destra nazionalista indù, il BJP, legatissimo al mondo dell’induismo radicale, già "Chief minister" del suo stato, il Gujarat. Modi ha messo l’intera India in lockdown dal 25 marzo scorso. Le statistiche ufficiali mostravano in verità una India pochissimo colpita dalla pandemia: 3500 casi registrati, un centinaio di vittime. Un po’ poco per un paese afflitto da serissime carenze nella sanità pubblica e spesso attraversato da malattie infettive. Chiunque abbia viaggiato, visitato, lavorato in India conosce molto bene le condizioni igieniche locali e magari ha sofferto delle relative conseguenze. Ad oggi, la situazione rimane critica. Mumbay è diventato l’epicentro indiano della crisi sanitaria: con i suoi oltre 20 milioni di abitanti può diventare il centro di una catastrofe. Non è quindi un caso che le autorità locali abbiano già deciso un allungamento del lockdown fino alla fine di aprile. La situazione è così delicata che l’India ha aperto negoziati stringenti con la vicina Cina per ottenere forniture mediche. «Tutti stanno facendo la fila alle porte della Cina, che ha sviluppato una grande capacità di produzione di maschere, guanti, tute, occhiali protettivi e copriscarpe per soddisfare l'ondata di una volta della domanda interna.

Ma ora con la pandemia all'interno del paese contenuta, la Cina è posizionata in modo univoco per intraprendere esportazioni su larga scala», ha detto il funzionario ad un autorevole giornale indiano. Questo aspetto di cooperazione fra i due giganti dell’Asia emergente si aggiunge ad altri importanti elementi di collaborazione o di buon vicinato fra i due paesi, che si sono rafforzati dopo i vertici fra lo stesso Narendra Modi e il Presidente cinese Xi Jinping, l’ultimo a Mamallapuram in Tamil Nadu, alla fine del 2019. I rapporti fra India e Cina in realtà sono un prisma molto complesso di cooperazione e di rivalità strategica: l’’ incidente’ di Doklam, nel Sikkim, era il 2017, aveva avvelenato i rispettivi rapporti. Pechino e Delhi decisero di attivare un dialogo politico ai massimi livelli, ovvero fra Modi e Xi. I cinesi conoscevano molto bene il premier indiano fin da quando era Chief minister del Gujarat.

La pandemia ora consente proprio l’allargamento della cooperazione sino- indiana. L’India grande produttrice globale di farmaci a basso prezzo, dipende dalla Cina per alcuni principi attivi o per alcune medicine chiave, come la penicellina. Ciò impone una stretta relazione fra i due paesi oggi in tempo di coronavirus.

Il primo impatto della crisi quindi potrebbe essere proprio quello di approfondimento della cooperazione reciproca, anche se nella nella destra indiana ci sono forti sentimenti anti- cinesi. Ma Delhi ora vuole consolidare i suoi rapporti con Pechino.

Ma quale sarà l’impatto del coronavirus sull’India? Se l’epidemia si allargasse, dicono gli economisti, l’India ne potrebbe essere devastata. L’India ha eccellenti strutture sanitarie private che hanno alimentato in questi anni un discreto fenomeno di ‘ turismo medico’ anche dall’Occidente, ma è molto assente quanto a servizi sanitari per la popolazione comune.

Il coronavirus non troverebbe ostacoli sanitari; e potrebbe avere effetti enormi sulla particolarissima struttura capitalistica indiana. L’India è una grande economia emergente. Ma essa presenta una struttura particolare: l’economia informale occupa, secondo l’ILO, circa l’ 80 per cento della forza lavoro non agricola. La grandissima maggioranza dei lavoratori indiani informali sono come quegli uomini che hanno percorso nei giorni scorsi centinaia di km per scappare dalle metropoli e ritornare ai loro villaggi. L’economia informale indiana è specializzata in particolare nei servizi a basso valore aggiunto. Secondo molti specialisti, l’impatto del virus su questa economia potrebbe essere disastrosa per la distruzione di imprese che comporterebbe. Strutture ospedaliere e sanitarie pubbliche non efficienti, economia informale di servizi molto sensibile alle crisi, ( e banche alla prese con crediti incagliati) sono un trittico preoccupante per l’India grande nazione emergente.

Ma le cose stanno davvero così, oppure noi occidentali guardiamo ad un paese come l’India con gli occhiali sbagliati? Ad esempio, le sotto- caste.

La società indiana da sempre, o quasi, è organizzata attorno e sulle “sotto- caste” che non sono propriamente le quattro caste vediche, ma rappresentano comunità culturali legatissime e coese al proprio interno anche con relazioni matrimoniali.

Le “sotto- caste” sono allo stesso tempo, agenzie di “welfare” familiare e agenzia di sostegno per le attività di lavoro autonomo. L’indiano medio è molto attaccato al suo lavoro autonomo che domina quella economia informale.

La moria di attività economiche che potrebbe provocare il virus potrebbe essere rapidamente sostituita da un nugolo di nuove attività messe in piedi grazie a quelle strutture sociali che garantiscono la persistenza della società. Le potenzialità di culture diverse, anche se vediamo la stratificazione castale come una struttura sociale non moderna, non dovrebbero mai essere sottovalutate.