L’intervento della mafia per supportare le operazioni dello sbarco degli Alleati in Sicilia, nel luglio del 1943, è un falso mito creato nel secondo dopoguerra e che ha resistito fino quasi ai giorni nostri. A fissare dei punti fermi ci ha pensato Salvatore Lupo, già professore di Storia contemporanea nell’Università di Palermo, autore del libro “Il mito del grande complotto. Gli americani, la mafia e lo sbarco in Sicilia del 1943” (Donzelli). Nelle pagine dello storico siciliano emerge un diverso “riposizionamento interpretativo”, che fa chiarezza, dopo oltre settant’anni di percorsi di studi ai quali si è voluta dare un’unica direzione. Non una novità assoluta in campo storiografico, ma di sicuro un punto di riferimento in grado di resistere all’esaltazione di alcuni fatti e dei suoi protagonisti. «L’idea fondamentale – dice al Dubbio Salvatore Lupo – riguarda l’esistenza dei complotti». Nel libro si parla della trattativa tra i servizi segreti statunitensi e il gangster Lucky Luciano per la difesa del porto di New York dalle incursioni di eventuali sabotatori. Questa, di tutte le possibili trattative, è la più documentata. «Un fatto che però non c’entra niente con lo sbarco in Sicilia», afferma l’autore de “Il mito del grande complotto”.

Professor Lupo, nel suo ultimo libro rinveniamo una componente revisionista?

Il termine revisionista è un po’ scivoloso. Se si intende dire che nel dibattito pubblico prende una posizione innovativa, può andare bene. Se, invece, ci riferiamo alla storiografia, le cose cambiano e occorre essere cauti. La teoria del grande complotto, secondo la quale gli angloamericani sbarcarono in Sicilia in forza di un accordo preventivo stipulato con la mafia, non credo sia stata mai presa in considerazione da nessuno storico serio. Non viene effettuata la revisione di un paradigma storiografico, ma ci si sposta su un terreno in cui il ragionamento storiografico, condotto su fonti e anche su criteri di ragionevolezza, va a confliggere con una descrizione mediatica consolidata. Il mito, di per sé stesso, è affascinante e spiega tutto. Il tentativo che faccio nel mio libro è di riportare sia l’analisi dei fatti sia l’analisi del mito stesso su un piano di analisi storiografica.

Perché è stato alimentato il “mito del grande complotto” al quale lei dedica tanta attenzione?

Io ho l’impressione che il mito nasca  contemporaneamente con gli eventi. Nasce perché crolla il fascismo con la sua retorica di superpotenza nel momento in cui si confronta con i grandi della terra. Bisogna ricordare che Mussolini, dopo essere stato liberato dai tedeschi, comincia a scrivere un libro, “Storia di un anno”, nel quale dice che la sconfitta deriva da un complotto della monarchia, che ha disarmato la superpotenza fascista. È il crollo di un regime che sembrava solidissimo. Il fascismo crolla con la seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943, quindici giorni dopo lo sbarco in Sicilia. In questo contesto ha trovato terreno fertile la teoria del complotto. Ma poi emerge un altro aspetto.

A cosa si riferisce?

L’amministrazione militare alleata vide, come era logico che fosse nel caos di quell’estate del 1943, un revival di attività di gruppi mafiosi, che sembra contraddire un’altra balla propagandistica del fascismo, vale a dire il contributo fornito per distruggere la mafia. Gli studi dimostrano invece il contrario: il fascismo non aveva affatto distrutto la mafia. Le fonti stesse fasciste ci dicono che alla fine degli anni Trenta la mafia era viva. Per capire questi eventi, dunque, non occorre far riferimento a nessun complotto. Ci basta pensare che nel caos di quei momenti gli angloamericani, cercando di interfacciarsi con forze locali, hanno finito, come tutti i governi della Sicilia, per rapportarsi con la mafia stessa. Si aggiunga poi un’altra fase, negli anni Cinquanta, nella quale il mito di cui parlo prende forma. Il nuovo sistema politico repubblicano, nato dalle macerie della guerra, tollera una grande espansione della mafia e molte forze politiche si chiedono il motivo. Rispunta in questo momento, soprattutto attorno alla figura di Michele Pantaleone e dei suoi studi, l’idea che dietro la mafia ci fossero forze potenti. Una semplificazione secondo la quale la mafia sarebbe stata ricreata dagli americani nel 1943. Nella fase finale questa fantasticheria viene riprodotta dalle commissioni parlamentari antimafia e si trasforma in una verità ufficiale nell’Italia nuova. Un conto è che una combattiva pubblicistica dell’opposizione tiri fuori degli argomenti polemici, un conto è che si tramuti in verità ufficiale.

Lei ha sottolineato un aspetto centrale: quello delle “verità ufficiali” che vengono create e poi diffuse. Il ruolo degli storici è fondamentale per creare una coscienza civica? Cosa ne pensa?

Io spero, per il mestiere che faccio, che la riflessione storiografica, condotta su documentazione primaria e a distanza, con un intervallo abbastanza lungo per una riflessione spassionata, possa correggere le estremizzazioni di quello che noi storici definiamo l’«uso pubblico della storia». Tale uso potrebbe essere accettato se ha come protagonisti i giornalisti, mi preoccuperei se viene fatto dalle istituzioni. Nel mio libro cerco di distinguere i complotti veri da quelli falsi, pensando anche all’assenza di un vero e proprio complotto. Nel fare questa operazione cerco di semplificare e disintossicare il dibattito. Saranno i lettori a dirmi se ci sono riuscito o meno. Capisco che il mio ragionamento non necessariamente deve essere più forte delle passioni di cui si alimentano le mitologie. Queste ultime non sono una falsificazione, ma una spiegazione sintetica di questioni reali. La storiografia più raffinata deve sforzarsi pure di spiegare i miti.

Di miti nella storia italiana ne abbiamo trovati e ne troviamo tanti…

Credo che il mio libro sia arrivato al momento giusto anche se mi dedico agli stessi temi da tanto tempo, forse da trent’anni, e ogni volta nel dibattito pubblico sembrano sempre nuovi temi. Ma questa situazione riguarda altri studiosi. Sembra, soprattutto quando si parla di mafia, che si ricominci sempre da zero.