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La vendetta privata di Donald Trump non teme giudizi pubblici, non si nasconde nel pudore o nella discrezione ma è data in pasto agli americani come uno spettacolo, un grand guignol politico in cui il capo regola i conti con i nemici. È un format talmente sfacciato in cui la distruzione della presunzione di innocenza e della separazione dei poteri diventa la normalità.
L’ultimo a finire nel mirino del presidente è James Comey ex direttore dell’Fbi (2013-2017) che guidò le indagini del cosiddetto Russiagate, ovvero il presunto tentativo della Russia di influenzare le elezioni presidenziali del 2016 che portarono per la prima volta il tycoon alla Casa Bianca. Al centro dell’accusa una testimonianza di Comey alla Commissione Giustizia del Senato del 30 settembre 2020 sull’autorizzazione data alla diffusione di informazioni sensibili ritenuta falsa.
Senza neanche delegare la rappresaglia, l’incriminazione è stata portata davanti al grand jury dalla procuratrice della Virginia Lindsay Halligan, ex avvocata di Trump e nominata appena quattro giorni fa. Pare che chi la precedeva, il giudice Erik Siebert, non andasse molto a genio al tycoon. Neanche il tempo di prendere confidenza con i dossier e le scartoffie che subito Halligan viene lanciata nell’arena per colpire quello che, tra i nemici del presidente, è senza dubbio il più odiato, il più citato, centinaia di volte nei comizi degli ultimi dieci anni, additato come simbolo del deep state, il nemico interno, il funzionario sleale che avrebbe cospirato per abbatterlo.
L’atto d’accusa di Halligan porta solo la sua firma ed è sorprendentemente breve, poco più di due pagine, ma ha un peso politico enorme. «Comey è uno dei peggiori esseri umani mai apparsi in questo Paese. Finalmente c’è giustizia in America» commenta Trump sul social Truth, felicitandosi con Halligan.
Di certo tutto diventa più facile se la giustizia è amministrata a ogni livello dal proprio cerchio magico, come nel caso della Procuratrice generale Pam Biondi, ex avvocata di Trump nel processo per impeachment per l’assalto a Capitol Hill e il suo vice Todd Blanche, che era addirittura il difensore del presidente nell’inchiesta guidata da Comey sulle interferenze russe. Difficile immaginare un intreccio, una commistione così flagrante di interessi privati e poteri dello Stato. Richard Blumenthal, senatore democratico del Connecticut, sugli schermi della CNN parla di una pagina «triste, scura e spaventosa per la storia americana» e in generale tutta l’opposizione non esita a parlare di attacco alla democrazia.
Comey ha reagito all’incriminazione con un certo coraggio, pubblicando un messaggio su X: «Io e la mia famiglia sappiamo da anni che ci sono costi da pagare per tenere testa a Trump. Ma non potevamo immaginare di vivere in altro modo. Non vivremo in ginocchio – commenta – e nessuno dovrebbe farlo. Qualcuno che amo molto recentemente ha detto che la paura è lo strumento di un tiranno. E ha ragione. Ma non ho paura e spero non l’abbiate neanche voi. Il mio cuore è spezzato per il dipartimento di giustizia, ma ho grande fiducia nel sistema giudiziario federale e sono innocente».
Oltre al caso specifico, l’incriminazione di Comey, la prima per un ex direttore del Bureau, evidenzia un terremoto più profondo che sta scuotendo le istituzioni americane, portando al collasso della muraglia tra Casa Bianca e Dipartimento di Giustizia. Storicamente costruita dopo lo scandalo del Watergate, questa separazione che serviva a garantire autonomia nelle indagini sensibili implode in un conflitto di interessi ciclopico. Ora il direttore dell’FBI Kash Patel e la procuratrice generale Pam Bondi dichiarano apertamente di servire gli interessi del presidente come fossero una milizia privata, senza più finzioni di neutralità. L’avvocato Todd Blanche, un fedelissimo di Trump, assume un ruolo centrale nella gestione della giustizia federale per colpire gli avversari politici della Casa Bianca, in questa circostanza lo stesso avversario con cui, a parti invertite, si era scontrato in tribunale.
Con lo stesso metodo Trump sta tentando di colpire la Federal Reserve, organismo indipendente dalla Casa Bianca, chiedendo pubblicamente la rimozione di Lisa Cook, una delle governatrici del board nominata da Joe Biden che definisce «incompetente e ideologica»; poiché non ha i poteri per farlo, anche in questo caso si prova la via giudiziaria ed stata tirata in ballo una presunta frode ipotecaria commessa da Cook finora mai dimostrata.
Con un presidente che utilizza senza freni le leve della giustizia per vendicarsi, ogni istituzione diventa vulnerabile.
La logica della rappresaglia produce un effetto a cascata: se può cadere l’ex direttore dell’FBI, se può finire sotto accusa una governatrice della Federal Reserve, allora nessuno è più al sicuro. E gli americani, ormai assuefatti alla politica-spettacolo, assistono allo spettacolo con un misto di fascinazione e rassegnazione.