Davanti alla Central Texas Food Bank di Austin centinaia di persone in coda aspettano di ricevere la loro razione dai camion che scaricano scatole di viveri. Donne con bambini per mano, pensionati con il cappotto abbottonato fino al collo, uomini in giacca e cravatta con il badge federale ancora appeso: sono i nuovi poveri dell’America dello shutdown. Da New York a Los Angeles, da Chicago a Dallas, le code davanti alle mense e ai centri di distribuzione del cibo sono tornate a essere lunghe come non accadeva dai tempi della pandemia.

Tutto inizia il 1° ottobre, quando repubblicani e democratici non riescono a trovare un accordo sul bilancio federale. Da allora, la paralisi amministrativa ha bloccato gran parte dei servizi pubblici, superando nella notte tra il 4 e il 5 novembre il record di 35 giorni dello shutdown del 2019. È la più lunga chiusura governativa della storia americana, e i suoi effetti ormai sono visibili a occhio nudo. Centinaia di migliaia di dipendenti pubblici sono rimasti senza stipendio, mentre interi programmi sociali – dalla sanità per i veterani all’assistenza alimentare – sono stati interrotti o ridotti al minimo. Si calcola che oltre quaranta milioni di americani bisognosi hanno subito un taglio drastico agli aiuti.

D’altra parte Donald Trump ha scelto la linea dura. Ha accusato i «democratici della sinistra radicale» di voler sabotare il Paese e ha promesso di non sbloccare i fondi del programma SNAP – il Supplemental Nutrition Assistance Program, il principale sussidio alimentare per i più poveri – finché il Congresso non approverà il bilancio proposto dal suo partito che prevede tagli di miliardi di dollari alla spesa pubblica.

Secondo Trump, è una questione di disciplina fiscale e di principio: «Non possiamo continuare a premiare l’inefficienza e l’assistenzialismo», ha dichiarato durante un comizio in Florida. Ma per i democratici e per molti osservatori, la sua è una strategia politica cinica, che usa l’emergenza alimentare interna come arma di pressione sul Congresso per far approvare il bilancio. La giustizia federale ha cercato di limitare i danni, ordinando all’amministrazione di utilizzare fondi d’emergenza per garantire i buoni alimentari almeno alla metà dei beneficiari ma per ora l’amministrazione non ha ripristinato nessun programma sospeso, neanche in forma ridotta. 

Nel frattempo, lo shutdown si estende come una crepa. Gli uffici pubblici chiudono, i servizi rallentano, e ieri il governo ha annunciato la soppressione di circa duemila voli in quaranta aeroporti per mancanza di controllori di volo. Secondo il Dipartimento dell’Agricoltura, un americano su otto riceve l’aiuto dello SNAP: circa 187 dollari al mese in buoni alimentari. Il 39% dei beneficiari sono minori di 18 anni.

«È un momento terribile per le famiglie più fragili, e siamo solo all’inizio», racconta Andi Bauer, volontaria alla Central Presbyterian Church di Austin. «Anche con lo SNAP, molti bambini andavano già a letto affamati. Ora la situazione rischia di precipitare». Nelle grandi città, le organizzazioni caritative hanno raddoppiato turni e capacità operative. «Abbiamo esteso gli orari di distribuzione, ma non basta. Alcuni rifugi stanno riducendo le porzioni. Non possiamo reggere a lungo così».

Dietro lo scontro sul bilancio si nasconde una battaglia politica più profonda: l’obiettivo, peraltro conclamato, della Casa Bianca è il progressivo smantellamento del welfare state, il suo One Big Beautiful Bill, approvato a luglio, prevede tagli per oltre mille miliardi di dollari ai programmi di assistenza, compresi sanità, istruzione e sussidi all’abitazione. È il coronamento di una filosofia economica che rifiuta l’idea stessa di redistribuzione e mira a ridurre il ruolo dello Stato al minimo.

Il parallelo con Ronald Reagan è inevitabile. Negli anni Ottanta, l’ex presidente repubblicano costruì la sua ascesa politica su un messaggio simile: lo Stato non è la soluzione, è il problema, tagliando drasticamente i fondi per la scuola e la sanità e inaugurando la lunga stagione liberista.

Ma nelle città, la retorica dell’austerity si scontra con la realtà della fame. A Washington, alcuni ristoranti hanno cominciato a offrire pasti gratis ai dipendenti federali in difficoltà. A New York, le banche alimentari stanno chiedendo ai privati fondi straordinari per coprire l’inverno. A Los Angeles, i rifugi di Skid Row hanno registrato un aumento del 40% delle richieste di aiuto in due settimane.

Mentre al Congresso continua la guerra dei bilanci, nelle strade d’America si combatte un’altra battaglia, più silenziosa: quella per un pasto caldo, per un tetto, per la dignità. Su un muro di mattoni, accanto all’ingresso di una mensa di Austin, qualcuno ha scritto con un pennarello: We feed hope. Nutriamo la speranza. È forse la frase che oggi racconta meglio l’America dello shutdown: un Paese sotto stress, polarizzato come non mai ma ancora capace di condividere il pane.